La Giornata mondiale dei bambini è un antidoto potente contro la disperazione
Educare ed educare alla fede non è mai stato semplice. Non lo è neanche adesso. C’è bisogno di un soprassalto d’amore, perché solo l’amore è creativo. Le difficoltà non mancheranno, ma quando si ama la fantasia si scatena e le soluzioni si trovano. La Giornata mondiale dei bambini li pone al centro dell’attenzione della società e può diventare uno stimolo perché le comunità cristiane e le famiglie, in particolare, si pongano fattivamente al loro servizio per far sì che quanto si spera per loro diventi realtà e non rimanga ingenua illusione di anime sognanti
Quando a inizio millennio, nell’esortazione post-sinodale Ecclesia in Europa (2003), san Giovanni Paolo II voleva dire in sintesi i problemi che affliggono il nostro Continente li riassumeva tutti nella mancanza di speranza: “L’uomo, però – egli aggiungeva – non può vivere senza speranza: la sua vita sarebbe votata all’insignificanza e diventerebbe insopportabile” (n. 10).
I bambini sono fonte di speranza. La loro presenza è presagio di futuro. La Giornata mondiale dei bambini si propone, quindi, come antidoto potente contro la disperazione, rischio sempre presente in un mondo disorientato e scoraggiato qual è il nostro.
I bambini, crescendo, diventano ciò che l’ambiente propone loro come modelli umani riusciti, interiorizzano i valori che vengono trasmessi, che respirano in famiglia e negli ambienti ordinari di vita. Questa coscienza interpella fortemente anche le comunità ecclesiali, i tanti educatori che si adoperano per la loro crescita umana e cristiana. Che cosa si può fare per consentire loro di “fiorire”, di realizzare le potenzialità di cui sono portatori, di maturare avendo come riferimento le logiche evangeliche?
Come ricorda la Gravissimum educationis (1965), la prima responsabile dell’educazione dei figli è la famiglia: la sua funzione educativa “è tanto importante che, se manca, può difficilmente essere supplita” (n. 3). Spesso i genitori, però, non si sentono all’altezza, credono di essere inadeguati per l’educazione cristiana dei propri figli.
Forse, una più esatta coscienza di ciò dovrebbero fare li renderebbe più disposti ad assumersi le proprie responsabilità. Infatti, piuttosto che di nozioni da insegnare e riti da praticare, dovrebbero preoccuparsi semplicemente di “vivere” quei valori umanizzanti come l’onestà, la solidarietà, l’accoglienza, il perdono… che sono la base su cui innestare gli insegnamenti del Vangelo.
Ciò concorre a favorire un clima famigliare favorevole all’incontro con Gesù. Il Catechismo dei bambini (1992) ricorda che “c’è un giorno, c’è un’ora nella vita di un bambino, in cui per la prima volta risuona al suo orecchio il nome: Gesù. […] È decisivo allora che questo primo incontro con il nome di Gesù avvenga sotto il segno della vita e sia associato alla gioia e all’amore. Quando ciò avviene, tutti i successivi incontri saranno più facili, perché evocano una presenza di bene” (n. 130).
Il compito dei genitori è facilitato anche dal fatto che non risponde al vero che sia necessario “introdurre” nel bambino il bisogno di Dio perché il bambino è in sé un essere religioso. C’è una certa “connaturalità” nel rapporto tra il bambino e Dio; è un legame già esistente che va solo custodito dai genitori.
Se il bambino ha bisogno di Dio – vale anche per lui ciò che dice il Catechismo della Chiesa Cattolica (1992): “Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell’uomo, perché l’uomo è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sé l’uomo e soltanto in Dio l’uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa” (n. 27) – il compito dei genitori è quello di nutrire quest’esigenza prendendo seriamente in considerazione le domande grandi dei piccoli.
E le risposte saranno all’insegna della semplicità e dell’essenzialità: per comunicare con i bambini basta uno sguardo, un sorriso, una voce, un canto, uno scambio di messaggi. Quelle alle domande religiose potranno essere date, ad esempio, valorizzando la bellezza della natura, che rimanda a un progetto meraviglioso d’amore da parte di Dio; raccontando la vicenda terrena di Gesù; coltivando dei piccoli gesti e preghiere che fanno capire che si crede in un Essere provvidente…
L’importante è che il cammino sia “fatto insieme” e che il bambino sia libero di esprimere il proprio modo di credere: ci vuole una premura non invadente, quel rispetto dato dalla convinzione che loro saranno i credenti del futuro, una realtà che noi non sappiamo ancora come sarà. C’è tanto da imparare da loro!
Educare ed educare alla fede non è mai stato semplice. Non lo è neanche adesso. C’è bisogno di un soprassalto d’amore, perché solo l’amore è creativo. Le difficoltà non mancheranno, ma quando si ama la fantasia si scatena e le soluzioni si trovano.
La Giornata mondiale dei bambini li pone al centro dell’attenzione della società e può diventare uno stimolo perché le comunità cristiane e le famiglie, in particolare, si pongano fattivamente al loro servizio per far sì che quanto si spera per loro diventi realtà e non rimanga ingenua illusione di anime sognanti. Come amava dire mons. Tonino Bello, “non basta dire dei sì, bisogna fare dei sì”.
Ubaldo Montisci (*)
(*) salesiano, catecheta, insegna nell’Università pontificia salesiana