L’autonomia è più vicina dopo l’approvazione in Senato del ddl Calderoli
Non solo in senso temporale, dopo l’approvazione in Senato del ddl Calderoli. Secondo il costituzionalista Rivosecchi la gestione delle funzioni sarà più prossima al territorio
«Non c’è contraddizione fra autonomia ed eguaglianza. Noi abbiamo una lettura spesso frutto di un pregiudizio: che l’autonomia, intesa anche come differenziazione, sia in contrasto con l’eguaglianza. In realtà non è così, perché l’autonomia territoriale, come l’hanno concepita i padri costituenti, è uno strumento per realizzare l’autogoverno delle collettività. Questa autonomia, intesa come autogoverno, è anzitutto differenziazione. Alcune Regioni potranno innalzare il livello delle prestazioni garantite in ragione delle peculiarità dei territori, altre Regioni avranno comunque garantito il nucleo essenziale dei diritti costituzionali». A sottolinearlo è Guido Rivosecchi, docente di Diritto costituzionale all’Università di Padova, cui abbiamo chiesto di commentare la riforma Calderoli. Il 23 gennaio l’aula di Palazzo Madama ha approvato – con 110 sì, 64 no e tre astensioni – il disegno di legge 615, d’iniziativa governativa, sull’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario. Sono passati oltre sei anni dal referendum consultivo sull’autonomia, svoltosi in Veneto e in Lombardia il 22 ottobre 2017. A Palazzo Madama il lavoro è durato otto mesi, ora il testo è al vaglio della Camera.
Prof. Rivosecchi possiamo dire che la legge ha compiuto un passo importante ma che il cammino è ancora lungo? «Rilevo, nel ddl approvato dal Senato, la presenza di alcune garanzie fondamentali. Innanzitutto il coinvolgimento del Parlamento, che è il custode dell’interesse nazionale, al quale spetterà la valutazione finale della compatibilità, con i principi costituzionali, delle intese raggiunte fra Stato e Regioni. Il mio auspicio è che queste garanzie procedurali e sostanziali possano essere ulteriormente rafforzate in occasione del passaggio alla Camera. Però, dopo il lungo percorso fatto, questo è sicuramente un primo punto di approdo. Non sappiamo quali potranno essere i tempi per l’entrata in vigore della riforma. Oltre a quelli che la Camera potrebbe decidere di prendersi per migliorare il testo della legge, ci saranno poi i tempi necessari per il vero e proprio negoziato tra Regioni e Stato».
Il presidente del Veneto, Luca Zaia, ribadisce che «questa non è la secessione dei ricchi»... «Le singole Regioni discuteranno le loro richieste con il Governo: in questa fase potranno essere utilizzati anche i materiali già disponibili. Abbiamo già delle bozze d’intesa, definite allora “Accordi preliminari”, che sono stati sottoscritti da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna con il Governo Gentiloni, in particolare con il sottosegretario Bressa; e poi ci sono le bozze d’intesa sottoscritte dal primo governo Conte, sempre con il Veneto, oltre che con la Lombardia e l’Emilia-Romagna».
Possiamo fare un esempio di quel che potrebbe accadere nella gestione di una delle 23 materie? «Se parliamo dell’istruzione, potrebbero essere trasferite alle Regioni delle singole funzioni amministrative, che riguardano l’organizzazione o la gestione della rete scolastica. Cioè quello che fa oggi, per capirci, il Provveditorato agli Studi, può essere oggetto di trasferimento dallo Stato alla Regione Veneto, che potrebbe farlo con i suoi uffici. Ma non si possono trasferire, per limiti di ordine costituzionale, i programmi scolastici, cioè cosa studiano a scuola gli studenti. E così pure non può essere trasferita alla Regione la gestione del personale: cioè lo statuto giuridico o lo stipendio degli insegnanti, perché ci dice la Corte costituzionale che quella è tutta materia statale. Quindi durante i negoziati si dovranno individuare le funzioni che sono trasferibili e quelle che non lo sono. Per ciascuna delle 23 materie ci sono funzioni che non possono essere scorporate».
Ma come verranno finanziate le funzioni trasferite dallo Stato alle Regioni? L’opposizione parlamentare – Pd e M5S in primis – sostiene che manca la determinazione, che potrà avvenire entro 24 mesi, dei Livelli essenziali delle prestazioni, ovvero degli standard minimi di servizi che lo Stato deve garantire a tutti i cittadini. «Il disegno di legge Calderoli prevede lo strumento delle compartecipazioni al gettito di tributi erariali. Siccome svolgere più funzioni, se saranno trasferite alle Regioni, comporta una spesa, queste risorse dovranno seguire le funzioni: in base al principio del parallelismo tra funzioni svolte e risorse necessarie, che è fissato dall’articolo 119 quarto comma della Costituzione e che rappresenta un limite espresso al regionalismo differenziato. Quindi se al Veneto, in base alla legge che approva l’intesa – votata a maggioranza assoluta – lo Stato darà più funzioni, dovrà anche dare qualcosa in più in termini di risorse. Questo comporta che la Regione Veneto si vedrà aumentare la compartecipazione al gettito di alcuni tributi erariali sulla base delle funzioni trasferite. Chiaramente, quante più funzioni saranno oggetto del trasferimento, tanto più aumenterà la compartecipazione al gettito di tributi erariali. Questo procedimento – ed è un’altra garanzia importante, non solo per il Veneto e per le Regioni che potranno essere beneficiarie della differenziazione, ma anche per le altre Regioni non beneficiarie – non deve però comportare oneri aggiuntivi alla finanza pubblica. Cioè ci dev’essere un risparmio per lo Stato nella cessione delle funzioni che sono trasferite. Se invece, dal trasferimento di funzioni e dalla contestuale esigenza di determinare i Livelli essenziali delle prestazioni per tutte le Regioni e il relativo finanziamento, derivano oneri ulteriori per la finanza pubblica, il ddl Calderoli prevede che siano comunque assicurate risorse in maniera tale da garantire i Lep in tutte le Regioni. E questa mi pare una garanzia importante, a tutela anche delle altre Regioni che non saranno beneficiarie della differenziazione. Questo procedimento ha una sua complessità, ma anche una sua logica: quella di avvicinare lo svolgimento delle funzioni al territorio».
Autonomia, sì se serve a essere solidali
«È questo un modo per diventare più solidali, perché l’Italia possa diventare più solidale? Perché ci si possa aiutare reciprocamente, sapendo anche del grande divario che c’è tra una parte e l’altra dell’Italia? Se è questo, benvenuto; se non è questo c’è veramente da chiedersi se vale la pena percorrere questa strada». È il pensiero del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin sul tema autonomia. A margine della presentazione del manifesto Dignitas Curae per la sanità del futuro, ha aggiunto: «Bisognerà trovare la maniera che le due cose si raccordino» – da un lato cura, diritti e dignità dei malati; dall’altro progetti di autonomia – perché «ne va della dignità della persona e del suo benessere totale, fisico e spirituale. Qualsiasi organizzazione si possa pensare, bisogna però mettere alla base questi principi», altrimenti «fallisce».
I limiti di ordine costituzionale sulle 23 materie
Ma una Regione otterrà in una volta sola 23 materie o questo processo si svilupperà gradualmente? Ancora il docente Guido Rivosecchi: «Certo, si svilupperà gradualmente. Ma è anche dubbio che si possano avere 23 materie, perché ci sono dei limiti di ordine costituzionale, che le rendono – come si deduce dallo stesso ddl Calderoli – non tutte devolvibili integralmente. L’oggetto del trasferimento, fra l’altro, non sono le materie: con l’intesa non si può riscrivere il riparto costituzionale delle materie, così come previsto dall’articolo 117».