L’Europa chiamata (ancora una volta) a diventare adulta
La tragica guerra in Ucraina appare come l'ennesima sfida all'integrazione comunitaria. Vari ostacoli si frappongono sul cammino dell'Ue e richiedono risposte lungimiranti, capaci di tradurre nell'oggi il Dna europeo: pace, democrazia, libertà, diritti, sviluppo. Occorre, come affermava David Sassoli, un'"Europa faro"
Nuovi problematici e persino tragici scenari, minacce inedite: l’Unione europea è, per l’ennesima volta, a un giro di boa. Come periodicamente accaduto nella sua storia, gli ostacoli che si frappongono all’integrazione politica ed economica pretendono risposte innovative, lungimiranti, risolutive. È a questo punto che si trova l’Unione europea del nuovo Millennio. Sorta dalle ceneri della seconda guerra mondiale, ha attraversato la seconda parte del Novecento tra alti e bassi, ma ritrovando sempre il bandolo della matassa: è accaduto con i primi ardui passi della politica agricola, con le titubanze rispetto al mercato unico negli anni ’60, con lo choc petrolifero dei ’70, con la caduta del Muro di Berlino alla fine degli ’80. E poi Maastricht, l’Unione economica e monetaria, i piani Delors, la moneta unica, il fallimento della Costituzione, l’allargamento a est. Fino alla crisi dei subprime, alle ondate migratorie, alla pandemia Covid-19. Ora è la guerra in Ucraina, con tutte le sue conseguenze, che mette i Ventisette con le spalle al muro. Uscirne insieme o rimanere intrappolati nell’imperialismo omicida di Putin, nella crisi energetica, economica e alimentare innescata dallo scellerato attacco russo?
Del resto sta nel Dna della politica, ad ogni livello, cercare vie d’uscita efficaci rispetto alle sfide che la storia pone dinanzi.
Oggi l’Europa è chiamata, ancora una volta, a diventare adulta. Il conflitto in atto nel vecchio continente vi ha riportato i riflettori, non per un antistorico eurocentrismo ma per sapere se la terra della democrazia, della pace e delle libertà è in grado di difendere i suoi valori e le acquisizioni degli ultimi 70 anni. A partire da un necessario, urgente percorso verso la tregua, che faccia tacere le armi per poi riprendere la via della diplomazia e della politica. Perché la guerra, i morti, le città rase al suolo, gli odi che essa alimenta non portano da nessuna parte. Non ci sarà un vincitore tra Kiev e Mosca, ma solo due Paesi dilaniati (uno dei quali da ricostruire), due popoli piegati e lontani, due generazioni di giovani che dovranno faticosamente ritrovare la fiducia nella vita.
In questo contesto l’Ue deve comunque mostrarsi solidale con l’Ucraina: lo sta facendo con aiuti umanitari, accogliendo profughi, predisponendo i primi progetti di ricostruzione. Non manca il sostegno militare, comprensibile sul piano della legittima difesa, benché accompagnato da una retorica bellicista inutile e poco lungimirante rispetto al futuro.
L’Unione europea è inoltre sfidata sul piano della solidarietà energetica, della risposta alla recessione, della costruzione di una difesa comune e, non di meno, dalla necessità di addivenire a una politica estera comune, tratto obbligato per un’Europa “attore globale”.Come affermava nel suo ultimo discorso pubblico il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, occorre ritrovare un’“Europa faro”
grazie “al suo modello democratico”, fondamentale per la vita dei cittadini europei ma auspicabile e decisivo anche oltre le frontiere dell’Unione. “Far risplendere il nostro modello democratico – sottolineava Sassoli al Consiglio europeo di fine 2021 – significa dimostrarne il successo, dimostrarne l’efficacia nelle sue politiche pubbliche e la capacità di ottenere risultati tangibili grazie a una ferrea determinazione”. Il Consiglio europeo (ovvero il vertice dei 27 capi di Stato e di governo Ue) della scorsa settimana a Praga ha lasciato intravvedere qualche segnale positivo. Il prossimo Consiglio europeo è in calendario per il 20-21 ottobre prossimi. Ci si può attendere, come esito, il ritorno di un’“Europa faro”?