Intervista esclusiva a don Ciotti. Contro la mafia la speranza
Conversazione con don Luigi Ciotti, che spiega alla Difesa perché Libera ha scelto Padova per la prossima Giornata in ricordo delle vittime innocenti delle mafie e fa il punto sulle mafie a Nordest e sulla responsabilità dei cittadini.
Una scossa. Alle istituzioni, alle forze di polizia, ma soprattutto ai cittadini, ai gruppi, alle associazioni e anche alle comunità cristiane. È quella che spera di portare nel Nordest Libera, la rete di associazioni, nomi e numeri contro le mafie, che il prossimo 21 marzo farà tappa a Padova per la Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.
L’obiettivo insomma è la consapevolezza. E le parole del fondatore, don Luigi Ciotti, non lasciano spazio a dubbi. «In questi territori, la percezione della presenza reale delle mafie all’interno dell’opinione pubblica non è ancora adeguata all’estensione del fenomeno – sottolinea il sacerdote alla Difesa in una saletta del Pedrocchi, dove ha radunato esperti e attivisti da tutto il Triveneto per tracciare il cammino verso l’appuntamento di primavera – Lo scrive nero su bianco la relazione finale della Commissione parlamentare antimafia e ne sono convinto anche io».
La situazione insomma non è cambiata molto rispetto a due anni fa, quanto l’istituto Demos ha realizzato un sondaggio per l’Osservatorio Nordest del Gazzettino e il 71 per cento degli intervistati si è detto certo che la mafia sia poco o per nulla presente nella zona in cui vive. E per il 14 per cento la mafia non esisterebbe né sarebbe mai esistita.
Eppure libri, convegni, titoli di giornale in merito non sono di certo mancati negli ultimi anni. «Le mani della camorra sul Veneto. Cento aziende spolpate, 25 arresti», titolava Il Giornale di Vicenza il 15 aprile 2011. Più di sette anni fa. Si trattava dell’operazione “Serpe” che aveva messo nel mirino la società di recupero crediti Aspide srl dietro a cui operava un’organizzazione di stampo mafioso capeggiata dal napoletano Mario Crisci. Il quale, sotto interrogatorio durante il processo che seguì, al magistrato che lo interrogava sul perché avesse scelto il Nordest come base operativa rispose così: «Qui sono più disonesti di noi, qui la gente non ha voglia di pagar le tasse peggio che da noi». Insomma, un terreno fertile per un camorrista che ha l’obiettivo di fare affari e trovare le giuste complicità.
Sì, perché il grande rischio, sottolinea don Ciotti, «è di aver fermato la lettura della situazione a 26 anni fa, con le stragi di Capaci e via D’Amelio, in cui persero la vita i giudici Falcone, Borsellino e gli uomini e le donne delle loro scorte. Ma da allora il mondo è cambiato e le stesse mafie sono profondamente cambiate. Come? Oggi le mafie hanno quattro caratteristiche ben definite che emergono dagli atti giudiziari». Anzitutto il progressivo allargamento del loro raggio d’azione. «Anziché arretrare, vanno avanti – commenta amaro l’uomo che alla lotta alla mafia sta dedicando un’intera vita – Oggi, nessun territorio è immune». In Italia, ma anche fuori, non a caso Germania e Danimarca rappresentano tappe consuete di testimonianza e azione per don Luigi.
La seconda dimensione dei gruppi criminali sta nei profili più flessibili delle loro organizzazioni. «Capito? Oggi sono le mafie che fanno rete, al loro interno e con altri organizzazioni». E questo soprattutto perché – e siamo al terzo punto – hanno un’accentuata dimensione imprenditoriale che si esprime nell’economia legale e nei mercati e che risponde alla necessità di investire i capitali accumulati attraverso le attività illecite. «Le organizzazioni criminali mafiose hanno consolidato il loro potere, e qual è la ragione del successo economico dei mafiosi? Va rintracciata nella loro capacità di sapersi avvalere del sostegno della cooperazione e delle competenze di altri soggetti. Ci sono dei professionisti, e imprenditori, nel circuito legale, che si mettono a loro servizio».
Libera da sempre sostiene che la forza della mafia non stava dentro i gruppi criminali, ma fuori da loro stessi. «Oggi non possiamo più dire questo – riprende don Ciotti – perché la quarta, sconcertante caratteristica delle mafie oggi è la cosiddetta area grigia. Le mafie hanno creato una promozione di relazioni e di complicità con attori al confine tra la sfera legale e quella illegale. C’è una commistione oggi tra le due sfere. Ci sono legami con le imprese, pubblici funzionari, categorie professionali, politici, la massoneria occulta. Le mafie non sono totalmente nell’illegalità, ma si mimetizzano in questa commistione di interessi e conoscenze».
È lo stagno nelle cui acque torbide prolifera la corruzione, sopra la quali politici, funzionari e imprenditori camminano ogni giorno su un filo sottile, come emerge dal recente lavoro di Gianni Belloni e Antonio Vesco, Come pesci nell’acqua. Mafie, impresa e politica in Veneto (2018, Donzelli editore).
È così che, pur rimanendo la mafia a Nordest una creatura sfuggente, e non essendo strutturata come in Lombardia, Piemonte e Liguria, «diversi elementi – scrive la Commissione parlamentare antimafia – fanno ritenere che siano in atto attività criminali più intense di quanto finora emerso perché l’area è considerata molto attrattiva».
«I segni c’erano già negli anni Ottanta e Novanta – puntualizza il presidente di Libera – quando alcuni imprenditori hanno accettato più o meno consapevolmente le risorse dei gruppi criminali. Ma non si era mai data l’importanza necessaria. La stessa “mala del Brenta”, detta anche la “banda di Maniero”: nessuno mai l’ha chiamata con il suo nome: mafia. E anche il linguaggio ha la sua importanza. Solo dopo la vicenda “Aemilia”, nel 2015, specie a Verona e Treviso i prefetti hanno iniziato a utilizzare l’interdittiva antimafia».
Da tre anni a questa parte, dunque, il Nordest si scopre terra di attrazione per le cosche, specie per la ‘Ndrangheta. Vale per il Veneto, ma anche per il Friuli, ottima base per operare nel crescente mercato di stupefacenti dell’Europa orientale e per lo sfruttamento dei flussi migratori. È in zone come queste che prendono vita sodalizi tra organizzazioni criminali anche a livello internazionale, di cui è esempio il traffico di droga gestito da nigeriani sgominato un mese fa a Mestre. E in Trentino Alto Adige, pur non essendoci insediamenti mafiosi, sono operativi nel contesto economico soggetti contigui ai clan che garantiscono sostegno ai latitanti all’estero. Nell’edilizia e nello sfruttamento delle cave di porfido i malavitosi investono i capitali e utilizzano i territori come luoghi di transito per le loro attività illecite.
Di fronte a tutto ciò, diviene chiaro che «la strada è lunga e chiama in gioco tutti – conclude don Luigi – Abbiamo stima per il lavoro di magistrati e forze di polizia, richiamiamo le istituzioni alle loro responsabilità. ma c’è un ruolo anche che ci chiama come cittadini. La speranza è fragile se non è condivisa. È un bene comune come la libertà e la dignità e come tale va distribuita equamente. La speranza si rigenera quando è fondata sull’impegno e ha bisogno del nostro contributo e della nostra responsabilità. Anche da parte della chiesa, che ha il dovere di intervenire laddove dignità e libertà vengono calpestate».