Il viaggio del papa. Il messaggio per noi: missionari, in periferia come al centro
«È la carità che si dona a mandare avanti il mondo». Papa Francesco lo ha detto a Jakarta, ma le sue parole risuonano anche alle nostre latitudini
Nel suo viaggio più lungo alle periferie del mondo papa Francesco ha toccato due continenti e quattro Paesi, passando dall’Asia all’Oceania. I quattro Paesi visitati sono molto diversi tra di loro: c’è l’Indonesia, il più grande Paese musulmano del mondo; c’è la Papua Nuova Guinea, Paese a maggioranza cristiana ma non cattolica; c’è Timor Leste, il Paese più cattolico del mondo; e infine c’è Singapore, città-stato ipersviluppata con la presenza di molte religioni. Già questa prima fotografia ci dice quale fosse la sfida per il successore di Pietro: testimoniare il Vangelo e abbracciare popoli molto diversi tra di loro. Al cuore della prima tappa, quella in Indonesia, c’era il dialogo con un islam che qui cerca di promuovere l’armonia e la convivenza. Simbolico in questo senso è stato il gesto di inaugurare il “tunnel della fraternità”, un sottopasso che collega la più grande moschea del Sud-est asiatico (progettata da un architetto cristiano) con la cattedrale cattolica a Jakarta. In Indonesia non c’erano grandi folle per strada ad accogliere il papa, l’abbraccio più grande per Francesco è stata la messa allo stadio. Ma le parole e soprattutto i gesti del pontefice hanno colpito molti indonesiani e lo spazio dato alla visita dai media del Paese sta a indicare quanto abbia inciso nell’immaginario collettivo. Molto diverso l’ambiente in Papua Nuova Guinea: la gente ha atteso per ore l’arrivo del papa e lo ha salutato per le vie di Port Moresby nonostante il buio. Al cuore di questa tappa è stata la personale vicinanza di Francesco ai missionari del Verbo Incarnato, che spendono la loro vita per annunciare il Vangelo negli sperduti villaggi della zona di Vanimo, Nord-ovest del Paese. Tra foreste di mangrovie e barriera corallina, squali e coccodrilli, questi uomini di Dio testimoniano tenerezza e vicinanza in una terra dove sono presenti riti ancestrali, tribalismo, sfruttamento delle risorse da parte delle multinazionali. Dopo Papua Nuova Guinea è arrivato l’abbraccio di Timor Leste: qui tutto il Paese si è riversato per strada. La Chiesa ha avuto un ruolo determinante nel processo che ha portato all’indipendenza dall’Indonesia e il cattolicesimo è un elemento identitario per gli abitanti di questo Paese insulare con poco più di un milione di abitanti. Infine, la tappa a Singapore, Paese in cui sono visibili aspetti positivi e limiti delle economie sviluppate. Il contatto con la gente e le realtà della Chiesa locale ha mostrato una fede viva, vivace, che cerca di permeare la società. A Timor Leste i principi della Dichiarazione di Abu Dhabi sulla fratellanza umana vengono recepiti e implementati nelle istituzioni educative e culturali. I gesti di vicinanza e amicizia tra il papa di Roma e i gran imam di Jakarta testimoniano che non siamo destinati allo scontro e all’odio, e che le religioni hanno un ruolo fondamentale nel promuovere la pace e la convivenza. C’è un messaggio anche per noi che emerge da questo viaggio. A Jakarta, Francesco ha detto che a mandare avanti il mondo è «la carità che si dona» nella compassione. Ha detto che la compassione non consiste nel dispensare aiuti o elemosine ai bisognosi «guardandoli dall’alto in basso», ma significa chinarci per entrare davvero in contatto con chi sta a terra e così risollevarlo e ridargli speranza. Significa anche abbracciare sogni e desideri di riscatto e di giustizia dei bisognosi, diventandone promotori e cooperatori. «Ciò che manda avanti il mondo non sono i calcoli di interesse... ma la carità che si dona. La compassione non offusca la visione reale della vita, anzi, ci fa vedere meglio le cose, nella luce dell’amore». Nelle periferie come al centro, l’evangelizzazione non può che partire da questa condivisione di vita, dal riverberare il volto di un Dio che è misericordia, vicinanza e tenerezza. Ai vescovi, sacerdoti, religiose e catechisti di Port Moresby, Francesco rispondendo alla domanda di un catechista su come trasmettere ai giovani l’entusiasmo della missione, ha detto: «Non penso che ci siano “tecniche” per questo...». La risposta è stata riproporre l’essenziale della testimonianza cristiana, cioè «coltivare e condividere la nostra gioia di essere Chiesa». Nel libro intervista con Gianni Valente (Senza di Lui non possiamo far nulla, Lev, 2020) il papa aveva spiegato che «la missione è opera Sua. È inutile agitarsi. Non serve organizzare noi, non serve urlare. Non servono trovate o stratagemmi. Serve solo chiedere di poter rifare oggi l’esperienza che ti fa dire “abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi”... Il mandato del Signore di uscire e annunciare il Vangelo preme da dentro, per innamoramento, per attrazione amorosa. Non si segue Cristo e tanto meno si diventa annunciatori di lui e del suo Vangelo per una decisione presa a tavolino, per un attivismo autoindotto. Anche lo slancio missionario può essere fecondo solo se avviene dentro questa attrazione, e la trasmette agli altri». Parole da tenere in considerazione anche dalle nostre Chiese, abituate a organizzare tutto nei piani pastorali, ma talvolta a rischio di dare per scontato l’essenziale.
Andrea Tornielli
Direttore Editoriale dei Media della Santa Sede