Il veleno lungo del superbonus edilizio
Un esempio macroscopico di come le scelte politiche, nel bene e nel male, si ripercuotano nella vita collettiva ben oltre i tempi stretti e fugaci delle cronache
La gestione del superbonus edilizio tiene ancora banco nel dibattito politico. Ultimamente la polemica si è accesa persino all’interno dell’attuale maggioranza, che è di tutt’altro segno rispetto a quella giallo-rossa che concepì la misura esattamente quattro anni fa (il decreto-legge è del 19 maggio 2020). L’Italia era piegata dalla pandemia e per far ripartire il sistema economico era necessaria una scossa: si puntò su un settore strategico come l’edilizia, con l’azzardo di un incentivo non propriamente ortodosso, il 110%. E’ facile adesso emettere sentenze su questa decisione senza tenere conto del contesto drammatico in cui essa venne presa ed è insopportabilmente ipocrita scagliarsi contro di essa dopo aver magnificato la vigorosa ripresa post-Covid a cui il superbonus ha dato un contributo determinante. Tanto che a ripercorrere le cronache di questi quattro anni ritroviamo a sostenerla più o meno convintamente quasi tutti i partiti.
Ciò premesso per onestà intellettuale, se dai quasi 35 miliardi previsti si è arrivati a una spesa complessiva di circa 160 miliardi, non si può non riconoscere la presenza di gravi difetti strutturali nella strategia individuata e nelle successive modifiche e integrazioni. Per non parlare della mancanza di equità, dato che la misura ha premiato soprattutto “i proprietari più dotati di risorse finanziarie”, come sottolineato dalla stessa Corte dei conti. Sta di fatto che nessuno – né governi, né partiti – è riuscito a fermare la corsa della spesa anche quando appariva già chiaro che fosse fuori controllo. La sua crescita è stata così abnorme da condizionare gli equilibri dei conti pubblici anche per gli anni a venire, in un momento in cui la prospettiva del nuovo patto europeo di stabilità, quale che sia l’esito delle elezioni, rappresenta di per sé una sfida impegnativa per il nostro Paese. E meno male che c’è il Pnrr.
Si spera che la vicenda del superbonus possa essere indagata senza pregiudizi ideologici quando avrà completato tutto il suo ciclo, perché si tratta di un “caso” da cui ricavare indicazioni preziose, non fosse altro per non ripetere gli stessi errori. Ma si può da subito affermare senza tema di smentita che essa costituisca un esempio macroscopico di come le scelte politiche, nel bene e nel male, si ripercuotano nella vita collettiva ben oltre i tempi stretti e fugaci delle cronache e richiederebbero quindi una lungimiranza di cui invece non c’è traccia. La politica italiana (e purtroppo non solo quella italiana) è malata di “presentismo”, per usare una delle fulminanti espressioni del fondatore del Censis, Giuseppe De Rita. Conta ciò che porta consenso qui e ora, con il pensiero fisso al prossimo appuntamento elettorale. A ben vedere anche la questione demografica e quella ambientale scontano questo “presentismo”. Se siamo arrivati alla situazione che tutti ormai almeno a parole diciamo di conoscere e se risulta così faticosa e controversa ogni azione per contrastare e ribaltare le dinamiche negative, è anche perché le forze politiche tendono sistematicamente a privilegiare i temi che danno riscontri positivi a breve. E peggio per chi verrà dopo di noi.