Il nostro pensiero “animale”: molto più vicino di quanto ritenessimo. Ma ci distingue l'intelligenza sociale e una vocazione comunitaria

Relazioni Il nostro modo di riflettere è molto più vicino di quanto normalmente si ritenga a quello degli altri vertebrati. Ci distingue l’intelligenza sociale e una vocazione comunitaria

Il nostro pensiero “animale”: molto più vicino di quanto ritenessimo. Ma ci distingue l'intelligenza sociale e una vocazione comunitaria

Quante volte, presi dall’idea dell’indiscutibile superiorità della nostra specie, trascuriamo di indagare adeguatamente le forme e i confini di intelligenza diverse dalla nostra? Oppure pensiamo che ci sia un solo tipo di intelligenza, quella logico-razionale, ignorando per esempio il ruolo e il potere di sensazioni, emozioni e intuizioni? Sono gli interrogativi che hanno accompagnato fin dall’inizio il ciclo dei martedì culturali organizzato dal Centro universitario di Padova nella stagione 2023-2024, denominato appunto  #intelligenze. Un programma di conferenze con ospiti di altissimo livello, chiusosi lo scorso 14 maggio con l’intervento di Giorgio Vallortigara dedicato al tema dell’intelligenza animale. Laureato in Psicologia a Padova e docente presso l’Università di Trento specializzato proprio nello studio delle capacità cognitive animali, Vallortigara si è affermato negli anni anche come brillante e instancabile divulgatore, con libri divenuti ormai famosi come La mente che scodinzola (Mondadori, prima edizione 2011) e il più recente Il pulcino di Kant (Adelphi 2023). Quest’ultimo volume, in particolare, indaga le sorprendenti connessioni tra cognizione animale e umana, sfidando paradigmi tradizionali e suggerendo implicazioni rivoluzionarie per la comprensione della nostra mente. Il problema alla base è antico quanto la filosofia e si dibatte perlomeno dai tempi di Platone: esistono delle conoscenze innate o la mente umana è una tabula rasa che si arricchisce grazie alle esperienze sensoriali? Mentre gli empiristi, sulla scorta di John Locke e David Hume, sottolineano il ruolo cruciale dell’esperienza, i difensori delle conoscenze innate come Immanuel Kant suggeriscono che gli aspetti fondamentali del sapere siano universali e, in quanto tali, indipendenti dall’esperienza individuale. Una vexata quaestio che negli ultimi tempi ha ricevuto nuova linfa dalle nuove scoperte nell’ambito della genetica e delle neuroscienze. Stando, infatti, alle ricerche più recenti anche animali apparentemente lontani da noi come i pulcini non solo sono capaci di “contare”, scegliendo per esempio un mucchietto di mangime più grande rispetto agli altri, ma intuirebbero addirittura in maniera innata le nozioni base della fisica e della geometria. Gli stessi meccanismi di imprinting, che permettono ai giovani pennuti di identificare e fissare la figura materna, non sarebbero inoltre del tutto estranei ai processi di apprendimento primordiali presenti nei neonati umani. «Spesso è diffusa l’idea che gli uccelli, a differenza dei mammiferi, non avrebbero corteccia cerebrale, quando invece le abilità di questi animali sono così sorprendenti che negli ultimi anni abbiamo cambiato parecchio le nostre idee su questo argomento», ha spiegato Vallortigara durante la conferenza. È vero insomma che l’organizzazione e l’architettura del cervello è diversa da specie a specie, esattamente come può variare il design di un microprocessore: gli elementi di base rimangono però gli stessi, a partire dalle reti neuronali. La conseguenza è che il nostro modo di pensare e agire è molto più vicino di quanto normalmente si ritenga a quello degli altri vertebrati, che anzi in alcuni frangenti rivelano addirittura comportamenti più razionali dei nostri. Quello che caratterizza e rende unici gli esseri umani, chiosa il neuroscienziato, è semmai il fatto di unire a uno spiccato individualismo una forte vocazione a vivere in comunità, l’essere insomma lo zoon politikon descritto da Aristotele. La cosiddetta intelligenza sociale ha quindi un ruolo preminente nello sviluppo delle nostre capacità mentali: «C’è chi sostiene, come ad esempio l’eminente antropologo dell’Università di Harvard Richard Wrangham, che una parte consistente delle nostre caratteristiche peculiari derivi da un continuo processo di autodomesticazione, che avrebbe selezionato gli individui più cooperativi e “altruisti” a scapito di quelli eccessivamente competitivi», ribadisce Vallortigara. Un aspetto, questo dell’importanza fondamentale delle relazioni e dell’empatia, messo in risalto anche dagli altri interventi del ciclo di conferenze appena concluso; già Telmo Pievani lo scorso 17 ottobre sottolineava, ad esempio, come tutto il lavoro di cura sia una forma suprema di intelligenza che caratterizza fin dagli albori il genere Homo: «La civiltà nasce quando i fragili non vengono abbandonati bensì curati, anche perché probabilmente hanno esperienze e conoscenze da trasmettere ai più giovani». Concetto ribadito dalla pedagogista suor Veronica Donatello, che lo scorso 12 dicembre ha parlato proprio del rapporto tra varietà e forme diverse di intelligenza e disabilità. I modi di intus legere, comprendere il mondo, sono insomma molteplici e, in una certa misura, complementari. Anche per questo, ha sottolineato Vallortigara che «dovremmo smettere di considerare l’intelligenza come un fenomeno unitario e iniziare appunto a parlare di intelligenze al plurale». Proprio come si è fatto, in questi oltre sette mesi, nel Centro di via Zabarella 82.

Su YouTube disponibili i vari appuntamenti

Con la conferenza sull’intelligenza animale si è chiuso il ciclo #intelligenze dei martedì culturali 2023-24: tutte le registrazioni degli incontri sono disponibili sul canale YouTube del Centro universitario di Padova. Per conoscere per gli altri incontri e proposte visitare il sito www. centrouniversitariopd.it

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