Il futuro della cura nei territori. Riconoscere la dignità

Joan Tronto nel suo testo sull’etica della cura nel 1993 descriveva quattro forme di cura: interessarsi a (caring about), prendersi cura di (taking care of), prestare cura (care-giving), ricevere cura (care-receiving).

Il futuro della cura nei territori. Riconoscere la dignità

Ma è vera cura? Se lo chiede l’autrice e ce lo chiediamo anche noi, quando la cura è inadeguata, non condivisa, un dare e ricevere vuoto di reciprocità. Si riduce a un “non ti riconosco”, non sei una persona, sei un bisognoso. Questa cura si rivela quello che non dovrebbe essere, cioè potere sbilanciato tra la forza di chi aiuta e fragilità di chi è aiutato. È un modo ingiusto di intendere la cura, che può degradare in assistenzialismo, mentre la cura deve essere un’esperienza profondamente umana, fatta di aiutare ad aiutarsi. È cura povera di umanità quando prevalgono le ragioni del fornitore. Chi riceve si sente assistito, non riconosciuto, a volte maltrattato nella propria dignità. I quattro modi di cura descritti da Joan Tronto possono quindi rivelarsi cura autentica o anche il suo contrario, se non vengono vissuti umanamente e solidalmente. È più evidente quando la cura non è quello che dovrebbe essere cioè gestita in modi burocratici, assistenzialistici, tradendo la propria missione. La finalità primaria della cura è indicata dalla Costituzione: riconoscere e promuovere la dignità, i diritti e i doveri di tutti, anche dei più deboli, senza standardizzare, senza fare parti uguali tra bisogni disuguali, penalizzando i più deboli. Gli aiutati, costretti ad adattarsi alle regole degli erogatori, diventano utenti. Gli erogatori a loro volta si condannano a essere meccanici, burocratici, non rispettosi 2 domenica 8 dicembre 2024 delle persone, rendendo poco umano quello che dovrebbe esserlo. Vince chi confonde le prestazioni con le soluzioni, allontanandosi dalle cure autentiche, attendendo la domanda, agendo su richiesta, verificando solo la titolarità formale a riceverle, proteggendosi dalla sofferenza delle persone. Ma questo modo di intendere la cura non funziona per chi ne ha più bisogno. È in conflitto di interessi perché privilegia il proprio vantaggio e non il bene costituzionale di tutti e di ciascuno.

Si può fidarsi di chi la eroga in questo modo? Solo ripartendo dal contratto costituzionale. Impegna la Repubblica a «rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini e impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (art. 3 c. 2). Tra gli ostacoli da rimuovere ci sono anche le amministrazioni che la gestiscono così. Conviene allora chiedersi come riposizionare la cura nelle relazioni tra persone e amministrazioni perseguendo l’effettività della cura, i suoi benefici, la sua buona riuscita. Molto dipende da come vengono prefigurati i benefici insieme con le persone, valorizzando tutte le capacità a disposizione. Sono capacità descritte dalla Costituzione in due articoli, molto lontani tra loro, come se fossero l’inizio e il completamento della missione. Nell’art. 4 comma 2 lo chiede a ogni persona, perché tutti sono chiamati a «contribuire al progresso materiale e spirituale della società». È importante quindi ricordarci che tra i tutti chiamati ci sono anche gli aiutati, ed è una ragione in più per rispettarli. Il completamento della missione è descritto nell’art. 118 comma 4: «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». La sussidiarietà, quindi, è il punto di partenza. Inizia dall’autonoma iniziativa di ogni persona e prosegue con quella dei cittadini organizzati nelle diverse forme di solidarietà sociale. La sussidiarietà intesa come diritto e dovere sociale non vale solo per le persone, vale anche per le istituzioni, a partire dai comuni. Nel 2025 avranno una grande opportunità, prevista dalla legge n. 234 del 2021 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022) e dalla recente legge veneta n. 9 del 2024 (Assetto organizzativo e pianificatorio degli interventi e dei servizi sociali), cioè di costituire gli Ats (Ambiti territoriali sociali). Per attuarli anche il Veneto ha avviato la grande opera, finalizzata a garantire i livelli essenziali di assistenza e cittadinanza sociale. Infatti, entro il 2026 gli Ats dovranno essere in grado di gestirli, con “sistemi territoriali di cure adeguate”, cioè giuste, equamente distribuite, rispettose delle persone, del mandato costituzionale, in condizioni di equità e giustizia. Chi non lo farà potrebbe rivelarsi un ostacolo da rimuovere, ai sensi dell’art. 3 della Costituzione.

Tiziano Vecchiato
Presidente Fondazione Emanuela Zancan

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