Il dovere di accorgersi. Nella vicenda di Senigallia ci sono tanti protagonisti che provocano a riflettere
Sembra che a scuola nessuno avesse dato retta al disagio manifestato da Leo che avrebbe più volte segnalato ai professori quanto gli accadeva
Quindici anni. Un colpo di pistola. E un grande senso di sgomento.
La tragedia di Senigallia, dove un ragazzo si è ucciso con la pistola del padre, dopo aver subito a lungo le vessazioni di un gruppo di bulli, non lascia spazio a tante parole. Troppo grande è il mistero della sensibilità e della fragilità umana, dell’amore e della violenza che si intrecciano nelle vite di tutti i giorni talvolta con esiti drammatici.
Chi può indagare il dolore dei genitori? L’angoscia di un quindicenne che ha tutta la vita davanti e che tuttavia si sente probabilmente in un tunnel senza uscita? La perfidia – consapevole o meno – di altri giovani che insidiano e torturano con parole e gesti ai quali forse attribuiscono la banalità dello “scherzo” e che invece per altri hanno il peso di un macigno?
Nella vicenda di Senigallia ci sono tanti protagonisti che provocano a riflettere. Anzitutto il giovane Leo, ragazzo sensibile, solare – come lo definisce la mamma – “serio e caparbio”, con il sogno di una vita adulta legata a una divisa, “vigile del fuoco o marina militare”. Un ragazzo, però, provato duramente dai “bulli” che lo vessavano a scuola e probabilmente colpivano sotto quella scorza di giovanottone che mostrava Leo, intercettando una fragilità che è comune ai soggetti in crescita, agli adolescenti in particolare. Proprio questa fragilità fa pensare e non va dimenticata: nei nostri ragazzi e nelle nostre ragazze è ben presente. Non come una colpa, naturalmente, ma come un tratto distintivo che forse oggi più che in passato diventa difficile da accettare e superare.
C’è poi la famiglia. Una mamma amorevole e attenta, il marito altrettanto premuroso. Una coppia separata ma che non dimentica il ruolo genitoriale, al punto che insieme – mamma e papà – cercano di affrontare i disagi del figlio. Con l’ascolto, l’incoraggiamento, la vicinanza. E si può solo immaginare – o forse no – il dolore e il senso di sconfitta di fronte alla tragedia. “Forse potevo fermarlo”, ha dichiarato la mamma, ricordando una telefonata attesa e mai arrivata. Ecco un altro pensiero: per quanto ci si dia da fare, il mistero della vita altrui resta sfuggente. Quanti genitori fanno del proprio meglio e tuttavia si scoprono, alla fine, impotenti.
Non va dimenticata la scuola. E qui arrivano le note più dolenti della vicenda di Senigallia. Sembra che a scuola nessuno avesse dato retta al disagio manifestato da Leo che avrebbe più volte segnalato ai professori quanto gli accadeva, senza avere protezione. E’ ancora la mamma, durissima, a raccontare che ai funerali le si è avvicinato il preside e lei lo ha mandato via. “Inutile chiedere scusa adesso, adesso è troppo tardi. Leonardo chiedeva aiuto, ma loro non l’hanno ascoltato”.
Poteva fare qualcosa davvero la scuola? Il ministro Valditara ha chiesto ufficialmente approfondimenti per capire cosa sia successo. “La scuola – ha spiegato – deve essere, innanzitutto, una comunità umana ed educante, in cui il ruolo del docente non si limita alla trasmissione dei saperi ma si estende alla costruzione, all’interno della classe, di rapporti improntati all’ascolto, all’accoglienza, al rispetto reciproco e alla capacità di suscitare entusiasmo, serenità, e interesse tra gli studenti”. Non solo: “È fondamentale che la scuola sappia intercettare le fragilità dei giovani ma anche educare alla responsabilità individuale, intervenendo con autorevole severità in presenza di comportamenti improntati a violenza, a prepotenza e a bullismo”.
Vero. Eppure, di episodi sconcertanti sono piene le cronache. Una volta di più occorrono attenzione e interventi mirati, senza sottovalutare le responsabilità.