Il Kenya insorge contro le tasse. Il racconto del comboniano padre Giuseppe Caramazza
Proteste Il presidente William Ruto ha dichiarato di aver ritirato la proposta di legge che avrebbe fatto aumentare le tasse e che ha provocato scontri e morti. La rivolta della Generazione Z Ragazze e ragazzi che hanno meno di 30 anni sono il fulcro della dissidenza contro il governo kenyano e hanno dimostrato di andare oltre le differenze etniche. Anche le Chiese sono state chiamate a prendere una posizione
Il panorama politico kenyano è sempre stato di difficile interpretazione. Sin dall’indipendenza, poche famiglie hanno controllato sia il parlamento che la presidenza del Paese. Le vicissitudini politiche, e finanziarie, del Kenya dipendono fortemente dalle alleanze tra queste forze, spesso in contrasto con i bisogni del paese reale. È così che Uhuru Kenyatta, figlio del primo presidente del Kenya, e William Ruto, allora giovane politico novello della scena nazionale, decisero di allearsi e presentarsi uno per la presidenza e l’altro per la vicepresidenza. Era il 2011, e su ambedue gravavano accuse di aver istigato le violenze che avevano scosso il Paese nel 2007. Eletti a furore di popolo, la luna di miele tra i due ex-rivali durò poco. Al termine del suo mandato, Ruto si è presentato come candidato alla presidenza. Ai giovani, promise una trasformazione del modo di fare politica, a favore della loro generazione. Venne eletto nell’agosto del 2022. Chi aveva creduto nelle promesse elettorali, è senz’altro rimasto deluso. Il progetto di una trasformazione sociale, l’abbandono della corruzione, dei favoritismi, tutto è caduto nel dimenticatoio. Il debito estero è cresciuto esponenzialmente, e nessuno sa bene dove sia finito il denaro. La corruzione è cresciuta a dismisura. La situazione sociale altro non era che una polveriera pronta a esplodere. Ed è esplosa nelle ultime settimane. La miccia è stata la legge finanziaria 2024-25: prevedeva l’aumento delle tasse, che avrebbero colpito i più poveri, fatto aumentare l’inflazione e crescere il costo della vita, già alto. Le proteste contro la legge finanziaria, guidate in gran parte dalla Generazione Z, il gruppo demografico di chi ha meno di trent’anni, sono iniziate a Nairobi il 18 giugno scorso, il giorno in cui la finanziaria è stata presentata in parlamento. Le proteste si sono subito diffuse in tutto il Paese africano, paralizzando le attività commerciali in diverse città. La risposta del presidente non si è fatta attendere. Si contano oltre cento manifestanti feriti o uccisi in scontri con la polizia nelle ultime tre settimane. Altri sono rimasti feriti, arrestati, e torturati dalle forze dell’ordine. Va sottolineato che la maggioranza delle manifestazioni era pacifica. La pressione è però stata decisiva. Ruto si è visto costretto a ritirare la legge – sebbene fosse stata già approvata dal parlamento – e a formulare altre vane promesse.
Negli ultimi giorni i giovani si sono ritirati dalle strade, ma non hanno terminato le loro rivendicazioni. Stranamente, il presidente Ruto non ha bloccato internet, la più importante via di comunicazione dei giovani. Ecco che sulle varie piattaforme social vengono continuamente pubblicati video che illustrano la situazione e che ribadiscono le domande della Generazione Z. I giovani si danno appuntamenti ed esprimono giudizi, senza paura. Sempre qui, le attività vengono coordinate a livello nazionale. In questo i giovani hanno dimostrato di essere diventati una forza politica da non sottovalutare. Chiedono a gran voce le dimissioni del presidente Ruto, e rivendicano un ritorno della politica al servizio della Nazione. Inoltre, i giovani hanno superato la barriere etnica: il Kenya è sempre stato diviso in gruppi etnici molto forti, spesso schierati gli uni contro gli altri. Una delle richieste della GenZ è che si arrestino tutti i politici che fanno ricorso alla divisione etnica. Sono ragazze e ragazzi nati negli ultimi decenni, per lo più urbanizzati, cioè abitano a fianco di altri giovani che provengono da tutte le regioni del Paese. Parlano inglese, oppure sheng – una lingua che mescola swahili e inglese – spesso non parlano la lingua della loro stessa etnia. Per loro la differenza etnica è irrilevante e si tratta di un passo avanti per un Paese che spesso ha visto l’esplosione di violenza razziale. Sebbene la popolazione non abbia espresso sostegno pubblico all’una o l’altra parte, è chiaro che i giovani hanno l’appoggio dei cittadini. Il mondo finanziario ha dichiarato l’inopportunità delle scelte del governo: aumenterebbero i costi bancari per i clienti e ostacolerebbero gli sforzi di inclusione finanziaria, colpendo in particolare gli individui a basso reddito. L’associazione degli industriali afferma che le tasse più elevate porterebbero alla chiusura di imprese e la perdita di posti di lavoro. Gli avvocati stanno dando il loro aiuto gratuitamente, medici d infermieri si sono prodigati per aiutare i manifestanti feriti dalla polizia. Per la prima volta, anche le chiese sono state chiamate in causa: I giovani chiedono ai vescovi e leader religiosi di dichiarare quanti fondi ricevono dai politici e come li usano. È così che alcuni vescovi hanno subito cancellato eventi dove dei politici erano stati invitati per raccogliere fondi. Inoltre, non pochi parlamentari si sono mostrati in pubblico per chiedere scusa ai giovani e promettere un nuovo modello di comportamento per il futuro. Durante le celebrazioni della solennità dei santi Pietro e Paolo, il nunzio Hubertus van Megen – certamente con il benestare del Vaticano – ha pronunciato una durissima omelia: «D’ora in poi la politica del Kenya dovrà cambiare. I giovani, a cui va il nostro sostegno, non si faranno intimidire. Vogliono un cambiamento, e questo dovrà arrivare». L’ambasciatore vaticano ha poi chiesto ai giovani presenti se fossero pronti anche a dare la vita per il futuro del Kenya. I vescovi locali hanno dichiarato che le aspirazioni dei giovani sono valide e promesso la loro assistenza. Siamo di fronte a un vero scontro tra poteri forti e il presidente Ruto difficilmente si farà da parte. Egli sa che questa scelta vorrebbe dire la sua fine, non solo politica. I giovani non sembrano voler cedere, nonostante molti leader studenteschi e degli influencer siano stati arrestati e torturati. Eppure la storia insegna che nessuno vince contro un popolo che si solleva, specialmente se sostenuto da veri valori di giustizia e verità. Le prossime settimane daranno la risposta. La paura è che sarà una risposta tinta di sangue.
Il bilancio delle vittime è ancora incerto
Il Kenya è una nazione dell’Africa orientale con la costa affacciata sull’Oceano Indiano e conta circa 54 milioni di abitanti. Difficile dare un numero più o meno certo delle vittime: secondo Human Rights Watch sono almeno 30 le persone che sono rimaste uccise martedì 25 giugno, dalla repressione violenta delle manifestazioni anti-governative. Un precedente bilancio dava conto di 22 morti in tutto il Paese, mentre il ramo kenyano di Amnesty International parlava di 23 vittime «causate dalla polizia».