Guarda il tuo futuro, cosa vedi? I nostri giovani “bamboccioni” pare coltivino e conservino ancora il “sogno” della famiglia con figli
Se i figli si attardano nell’adolescenza trasformandosi in “bamboccioni”, i genitori cercano disperatamente di rientrarci in maniera quasi caricaturale
Come immagini la tua vita personale tra qualche anno?
Questa domanda, insieme ad altre riguardanti il “futuro”, è stata rivolta a un campione di 5.670 studenti di età compresa tra i 13 e i 19 anni nell’ambito di un’indagine realizzata nel 2023 dal Laboratorio Adolescenza e dall’Istituto di ricerca IARD.
Il 71,1% del campione ha risposto di “vedersi” in un rapporto di coppia stabile e di convivenza/matrimonio con figli. Il dato pare confermato anche da altre ricerche, come quella sintetizzata nel rapporto “I giovani e la speranza del futuro” (2022) a cura dall’Associazione ItaliaAdozioni.
I nostri giovani “bamboccioni, egoisti e autoreferenziali”, dunque, pare coltivino e conservino ancora il “sogno” della famiglia con figli. Sono al contempo però anche consapevoli degli impedimenti concreti che si frappongono fra questo desiderio e la sua realizzazione: prevalentemente riconducibili alla carenza di lavoro (87%), seguita a ruota dall’assenza di politiche adeguate per la famiglia (69%). Una percentuale analoga di giovani è spaventata anche dalla tendenza delle relazioni stabili a “entrare in crisi” e il 37% degli intervistati definisce i figli “un ostacolo” e un forte condizionamento per la realizzazione dei propri obiettivi nella vita.
Tra gli intervistati che dichiarano di non volere figli emergono diverse posizioni: c’è chi pensa che un figlio sia un “limite” rispetto alla propria libertà, c’è chi teme di “poterseli permettere” economicamente e chi esprime un atteggiamento “nichilista”, gravemente pessimista nei confronti degli scenari futuri.
Nella progettazione della propria vita personale la generazione Z deve dunque fare i conti con lo “spettro” per eccellenza del nostro tempo: il futuro.
Gli psicanalisti Miguel Benasayag e Gérard Schmit nel loro volume “L’epoca delle passioni tristi” (2004) furono tra i primi a dichiarare che il “disagio” dei giovani, nel tempo della crisi, fosse da ascriversi perlopiù a una trasformazione del rapporto con la temporalità dell’esistenza e l’avvenire: il “futuro-promessa”, scrivevano, è diventato il “futuro-minaccia”: “Sembra che la nostra società non possa più ‘concedersi il lusso’ di sperare o di proporre ai giovani la loro integrazione sociale come frutto e fonte di un desiderio profondo”. Una società che ha smarrito la fiducia nel futuro, dunque, impedisce alle nuove generazioni di sognare e – ciò che è più grave – le depriva di ciò che è più essenziale per crescere, ovvero del diritto alla speranza.
La speranza, negli ultimi decenni, è divenuta un’attesa passiva e sfiancante, a volte sterile, perfino ingenua.
In questa prospettiva molti ragazzi sono divenuti facile preda di una sorta di “epicureismo” materico, dedito al “consumo” a portata di mano e al godimento estemporaneo.
Il disagio del futuro, del resto, appartiene a noi tutti e non solo agli adolescenti. Chi di noi non ha mai avuto la percezione di essere stato “diseredato” dell’avvenire? Chi di noi, quotidianamente, non si sente insidiato da funesti presagi? Basti pensare agli scenari di guerra, o ai sempre più numerosi episodi di violenza urbana…
Ma la progettualità familiare dei nostri giovani non è minata solo dalla paura del futuro. Ciò che osta è anche la crisi che investe l’attuale senso di genitorialità. Il mondo degli adulti è pervaso da una esasperata tendenza al “giovanilismo”: i genitori imitano i propri figli nel modo di vestire, nella presenza eccessiva sui social e in una attenzione maniacale verso il proprio aspetto fisico.
Se i figli, dunque, si attardano nell’adolescenza trasformandosi in “bamboccioni”, i genitori cercano disperatamente di rientrarci in maniera quasi caricaturale. Sono pertanto gli stessi adulti ad avvalorare la tesi che la felicità sia appannaggio di un’età giovanile e che la vita “pura” debba essere finalizzata a vivere emozioni “positive”, più che a misurarsi con le asperità e la fatica dei sentimenti.
E, invece, sono proprio i sentimenti, assieme a virtù come la speranza, la pazienza o la temperanza che potrebbero “rivoluzionare” quest’epoca e smontare l’alibi del pessimismo per offrire a tutti noi nuovi scenari e possibilità.