Governo. Di fronte alla crisi istituzionale, il nuovo presidente del Consiglio riparte dall’appartenenza europea e atlantica
Governo di solidarietà nazionale, come ai tempi del Comitato di liberazione. L’azzardo di Mattarella sembra aver funzionato. Attendiamo le decisioni
La politica italiana ha tanti difetti ma di sicuro non le si può imputare d'esser noiosa: in poco meno di un mese è cambiata radicalmente, tanto negli schieramenti quanto nei personaggi di spicco.
Il cambiamento più radicale riguarda l'inquilino di palazzo Chigi: due governi, due maggioranze antitetiche e due anni e otto mesi dopo, Giuseppe Conte ha lasciato il posto a Mario draghi che, in quanto ad eterogeneità della compagine di governo, ha poco da invidiare ai suoi predecessori.
Il governo Draghi è, a tutti gli effetti, un governo di solidarietà nazionale come non si vedeva dagli anni di piombo o, a guardar meglio, dai tempi del Comitato di liberazione nazionale agli albori della Repubblica.
Sulla genesi di questa crisi si è detto e scritto molto: da una parte la pistola fumante è sicuramente in mano a Matteo Renzi e al gruppo d'Italia Viva, d'altro canto non la critica d'immobilismo rivolta tanto al presidente Conte quanto alla maggioranza trova alcune conferme fattuali nei ritardi accumulati nelle procedure per ottenere i tanto attesi aiuti europei.
«Si è discusso molto sulla natura di questo Governo — ha esordito al Senato il presidente del consiglio, Mario Draghi — nel rispetto che tutti abbiamo per le istituzioni e per il corretto funzionamento di una democrazia rappresentativa, un Esecutivo come quello che ho l'onore di presiedere, specialmente in una situazione drammatica come quella che stiamo vivendo, è semplicemente il Governo del Paese, non ha bisogno di alcun aggettivo che lo definisca, riassume la volontà, la consapevolezza e il senso di responsabilità delle forze politiche che lo sostengono alle quali è stata chiesta una rinuncia per il bene di tutti».
Una rivendicazione forte da parte di un Presidente e di un governo che, innegabilmente, derivano la loro esperienza se non dal fallimento dall'evidente impasse della politica.
Alle difficoltà ormai sistemiche del nostro Paese, Draghi risponde ribadendo i cardini su cui si articola la nostra nazione: l'atlantismo e l'europeismo. «Gli Stati nazionali — ha rimarcato Mario Draghi — rimangono il riferimento dei nostri cittadini, ma nelle aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa». I resoconti stenografici riportano come, a questo punto, dall'Aula si siano levati applausi e commenti: a non pochi sono sfuggiti come molti degli applausi provenissero dalla componente euroscettica e sovranista della maggioranza.
È forse la prima dimostrazione plastica di quello che abbiamo ribattezzato l'azzardo di Mattarella: di fronte ad una classe politica frammentata e litigiosa, il lungo ciclo di consultazioni al Quirinale e l'aver incaricato Mario Draghi hanno prima esacerbato le divisione e poi ricomposto gli schieramenti in modo inedito.
«Vogliamo lasciare un buon pianeta —ha concluso il presidente Draghi — non solo una buona moneta». C'è da prenderlo sul serio: ha salvato l'Euro, non salverà il Pianeta ma ci proverà di sicuro.