Giudizi elementari. La verifica/valutazione, per essere efficace deve essere comprensibile a tutti
Cambiare non va sempre male, intendiamoci. Ma probabilmente una riflessione sui tempi va fatta
Cambiano (o, meglio, si vogliono cambiare) i giudizi alle elementari. E si solleva il polverone, uno stuolo di prese di posizioni, polemiche e riflessioni che mescolano un po’ di tutto e arrivano anche dalle direzioni più inaspettate: in campo anche gli attori. Tutti naturalmente possono dire la loro, ma probabilmente vale la pena di provare a riflettere a bocce ferme sulla questione e raccoglierne gli elementi fondamentali.
Il primo elemento riguarda il termine valutazione: si tratta di un elemento fondamentale del percorso scolastico a tutti i livelli. Verificare e valutare – che implica sempre un giudizio, fondato su dati raccolti – è condizione indispensabile nel processo di insegnamento apprendimento. Punto di riferimento per tutti i soggetti coinvolti: gli alunni, in primis, gli insegnanti – cui compete la responsabilità della verifica/valutazione – e le famiglie.
La verifica/valutazione, per essere efficace, cioè per funzionare come elemento positivo nel processo scolastico deve essere comprensibile a tutti. Banalizzando, ma non troppo, immaginiamo un itinerario tracciato su una mappa stradale: si decide di partire da casa per arrivare in un determinato punto. Verificare e valutare significa controllare periodicamente e poi al termine del percorso se la strada intrapresa è corretta, se sono state fatte deviazioni, se alla fine la meta è stata raggiunta. Ora, se abbiamo tra le mani la mappa e siamo tutti in grado leggere i nomi delle vie, ma io che guido il gruppo mi esprimo, ad esempio, con le coordinate geografiche (latitudine e longitudine), allora un po’ di disorientamento è comprensibile. E rischia di vanificare il processo: chi capisce dove siamo, dove stiamo andando, se e come siamo arrivati?
La risposta del ministro Valditara alle critiche sollevate all’ipotesi di tornare ai giudizi sintetici (per praticità: insufficiente, sufficiente ecc. ecc, ma in realtà ancora da definire) piuttosto che restare a quelli di pochi anni fa formulati in modo un po’ più complesso, ha la sua logica. “L’emendamento governativo sulla riforma della valutazione alla scuola primaria – ha spiegato – non elimina la descrizione analitica dei livelli di apprendimento raggiunti in ogni disciplina dall’alunno, che è fra l’altro fondamentale per il portfolio e la futura attività dei docenti tutor. Elimina piuttosto giudizi sintetici, astrusi e incomprensibili quali ‘avanzato’ o ‘in via di prima acquisizione’, sostituendoli con giudizi chiari e comprensibili, come ottimo o insufficiente. Non si perde nulla ma si migliora, semplificando e chiarendo, nell’interesse degli studenti e delle famiglie”.
La valutazione, dunque, spiegata e diffusa, ma poi sintetizzata in termici ritenuti più comprensibili.
Detto questo, ecco un altro elemento su cui riflettere, sollevato molto bene da alcuni esperti (Maria Mellone, ad esempio, presidente della Commissione italiana per l’insegnamento della matematica) e riguarda il poco tempo concesso alla riforma avviata solo tre anni fa proprio sui giudizi delle elementari. Funzionali o meno che fossero meritavano di essere messi alla prova con più calma. E questo è un problema più generale che coinvolge la scuola italiana, dove spesso si rincorrono riforme su riforme, quasi che ogni cambiamento al Ministero debba per forza tradursi in norme “innovative” che ricadono sul sistema scolastico in generale. Un esempio su tutti è relativo all’esame di Stato, la maturità: quante trasformazioni, una dietro l’altra.
Cambiare non va sempre male, intendiamoci. Ma probabilmente una riflessione sui tempi va fatta. Il rischio è quello, sia pure legato a buonissime intenzioni, di non “valutare” (ecco di nuovo il termine chiave) il buono da conservare e implementare o, con un’espressione popolare, buttare via il bambino con l’acqua sporca.