Elezioni europee. Mons. Crociata: “L’Italia, da sola, senza l’unione con altri Paesi, sarebbe come un fuscello in un mare agitato”
In questa intervista al Sir, mons. Mariano Crociata, presidente della Commissione degli episcopati dell’Unione europea (Comece), si rivolge ai candidati: "Non è un buon modo di fare politica quello di servirsi delle paure e del malessere della gente per catturare consensi"
Un invito esplicito ai partiti perché si astengano da campagne elettorali che “assumono un tono unilateralmente critico e denigratorio nei confronti dell’Europa”. Un appello ai candidati affinché non si servano “delle paure e del malessere della gente per catturare consensi”. “Chiunque capisce come va il mondo di oggi, dovrebbe rendersi conto che un Paese come l’Italia, da solo, senza l’unione con altri Paesi, sarebbe come un fuscello in un mare agitato”. È quanto dice, in questa intervista al Sir, mons. Mariano Crociata, presidente della Commissione degli episcopati dell’Unione europea (Comece), presentando la Dichiarazione che i vescovi delegati hanno pubblicato oggi in vista delle prossime elezioni per il Parlamento europeo.
Quanto è alto il rischio che la gente non vada a votare? E, secondo lei, qual è la causa o le cause che hanno generato questa disaffezione popolare verso l’Ue?
Può essere utile tenere presente che dal 1979 al 2019 l’affluenza alle urne nelle votazioni europee è oscillata dal 61,99% al 50,66%, con un calo fino al 42,61% della precedente tornata. Questo dice che in generale, pur con delle oscillazioni tra una tornata e l’altra, c’è una tendenza all’aumento dell’astensionismo.
Le cause sono varie. C’è da mettere in conto una diminuzione del senso di partecipazione in genere e dell’interesse alle vicende collettive e in particolare politiche, frutto di un individualismo crescente e di una sfiducia di fronte alla complessità del mondo di oggi. Poi l’immagine dell’Unione europea non è del tutto positiva, quanto meno perché la si sente distante e poi perché il dibattito pubblico ne presenta il versante deteriore e in ogni caso più lontano dalle preoccupazioni ordinarie della gente. In alcuni casi, poi, le campagne elettorali assumono un tono unilateralmente critico e denigratorio nei confronti dell’Europa.
Stanno prendendo sempre più piede purtroppo partiti e politici che remano contro, che parlano male degli organismi e uffici Ue, che seminano insofferenza verso le direttive europee. Se si potesse rivolgere a questi politici cosa direbbe loro? Quanto è rischioso rinunciare oggi ad un progetto europeo?
Direi semplicemente che non è un buon modo di fare politica quello di servirsi delle paure e del malessere della gente per catturare consensi. Direi che un politico fa il bene di quelli che lo votano se si adopera per preparare loro un futuro migliore. E un futuro migliore oggi per noi, e per tutti i cittadini dell’Unione europea, non può esserci senza di essa. Non perché non ci siano difficoltà e problemi, ma perché questi si possono superare, e un politico è chiamato a lavorare per superarli, non per picconare l’Europa.
Chiunque capisce come va il mondo di oggi, dovrebbe rendersi conto che un Paese come l’Italia, da solo, senza l’unione con altri Paesi, sarebbe come un fuscello in un mare agitato.
Non ci si rende conto infatti che perfino l’Unione europea, priva di vera unità e di compattezza, non ha nessuna forza e capacità di iniziativa nello scenario geopolitico globale.
Il progetto europeo nacque sulle macerie della Seconda Guerra mondiale e per evitare che si ripetessero gli errori del passato. Ma così non è stato. In che cosa l’Ue e gli Stati membri hanno sbagliato? E come ricostruire oggi le basi per un nuovo progetto di pace giusta e duratura?
I fattori che hanno condotto a vedere tornare la guerra sul suolo europeo sono molti e complessi. Si può osservare che i Paesi dell’Unione europea già in passato non sono stati coesi nel gestire i rapporti con la Federazione Russa e spesso hanno agito in ordine sparso, magari cercando di conseguire vantaggi immediati senza considerazioni di più largo respiro e di lungo periodo. Si trattava e si tratta di instaurare rapporti di dialogo e di equilibrio non strumentali a ritorni di breve momento, ma attenti a promuovere rapporti di collaborazione. Certo, ci sono altri fattori, spesso imprevedibili, che intervengono; nondimeno dentro rapporti di dialogo e di collaborazione dell’intera Unione diventa più facile prevedere e prevenire derive di complicazione e tensione. Adesso la situazione è generata ed è diventata molto complessa; essa va al di là di quanto l’Unione europea da sola può. Il suo compito adesso è più che mai quello di diventare un soggetto più unito e forte, così da svolgere un ruolo attivo e propositivo anche in una situazione incandescente quale è l’attuale guerra della Russia contro l’Ucraina.
A giugno gli europei si troveranno di fronte a liste di candidati, programmi, dibattiti, campagne elettorali. Ognuno concorrerà per far vincere la propria lista, il proprio partito, il proprio politico… Come orientarsi in questo scenario elettorale per un voto che punti non ai protagonismi personali ma al bene della casa comune che è l’Europa?
Direi di più: politici ed elettori devono essere aiutati a non votare seguendo soltanto una logica nazionale, che guarda agli equilibri politici interni di un Paese, ma piuttosto a cercare di cogliere le dinamiche e le istanze europee, anche quelle del Parlamento europeo.
E nello stesso tempo cercare il modo, e quindi le forze politiche e i candidati che più mostrano di avere a cuore i principi e i valori per un’Europa migliore, come dice la Dichiarazione dei vescovi della Comece: “Unita nella diversità, forte, democratica, libera, pacifica, prospera e giusta”. Anche in quanto cattolici, sentiamo di dover sostenere con il nostro voto e con la nostra partecipazione un’Europa che è nata su radici cristiane e ha bisogno del nostro apporto per essere compiutamente se stessa. Senza confessionalismi partigiani ma anche sapendo che il nostro contributo è essenziale alla costruzione e alla attuazione del suo progetto storico.
Perché la Dichiarazione si conclude con un appello ai giovani? Perché temete che non vadano a votare o al contrario perché sono forse quelli più interessati al voto? E in questo caso, perché?
La Comece ormai da qualche anno ha costituito una rete di collegamento tra giovani che sentono vivo l’ideale europeo. Essi hanno voluto costruire un Toolkit da diffondere in tutte le lingue per invitare i loro coetanei a votare. Sono il segno di una fiducia e di una speranza. Non è corretto generalizzare il giudizio sui giovani. Un progetto come l’Erasmus sta lì a mostrare come sono tanti i giovani che imparano ad apprezzare le opportunità di esperienze e di futuro che l’Europa significa. Difficile dire quanti andranno a votare. Molto dipende anche da noi adulti. Sono convinto che il loro contributo creativo e propositivo non mancherà, e si farà sentire sempre di più.