Elezioni europee. 50 milioni di buoni motivi per andare a votare
Chi scrive questa appassionata lettera sono i ragazzi e le ragazze della “generazione euro”; siamo nati a cavallo tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni 2000, per la prima volta alcuni di noi esercitano il loro diritto-dovere di voto e proprio per questo motivo ci appelliamo al senso civico di tutti coloro che l’8 e il 9 giugno avranno il diritto di scegliere verso quale direzione andrà l’Unione Europea.
La nostra generazione sembra aver vissuto durante i primi anni di vita in un continente dov’era tangibile la dottrina politico-economica del politologo americano Fransis Fukuyama, la fine della storia. Eravamo, quasi tutti, convinti che le democrazie liberali e il loro sistema economico capitalistico connotato da una forte impronta liberista avrebbero spazzato via gli altri modelli economici e sociali; l’intera umanità avrebbe definitivamente imboccato la strada del progresso in salsa occidentale. Tutto questo, come abbiamo sperimentato, non è avvenuto; ci siamo ritrovati davanti alle grandi questioni della Storia incapaci di rispondervi in modo complesso e spesso abbiamo cercato soluzioni nazionali a problemi sovranazionali. La nostra Europa sembra vivere in pieno quel senso di impotenza di fronte a una globalizzazione non governata e priva di un riferimento morale capace di metterla al sicuro dal rischio di una de-umanizzazione. Le due dimensioni che maggiormente hanno visto mutare in modo netto i loro modelli di riferimento sono l’economia e la politica. Notiamo che le ricette di deregolamentazione e precarizzazione, accompagnate dalla finanziarizzazione dell’economia a scapito dell’economia reale, hanno comportato l’aumento delle diseguaglianze sociali; questo modello è quanto di più lontano dal modello economico offerto dalla Dottrina sociale della Chiesa. Questa violenta finanziarizzazione dell’economia colpisce anche l’ambito politico; sempre meno sembrano connotare i processi decisionali presso i Parlamenti, se vi aggiungiamo anche il dato della bassa affluenza alle elezioni, non possiamo che prendere atto di uno svuotamento del modello democratico che ha rappresentato, per la parte Occidentale dell’Europa, un modello per gli ultimi ottant’anni. Ecco da dove ripartire con l’impegno dei cattolici nell’agone politico nazionale ed europeo: dare risposte alla complessità con la certezza che si fa una buona politica solo se si riesce a mediare tra le varie esigenze della società. Non siamo però destinati a un’inevitabile catastrofe, da cristiani non possiamo rileggere la nostra missione nel mondo se non alla luce del motto paolino «spes contra spem»; scegliamo di vivere la Speranza all’interno del nostro continente. Da decenni ricorre il tema delle radici cristiane; non lasciamo questa definizione lettera morta ma portiamola concretamente nei processi decisionali. Vogliamo un’Europa “isola” dell’egoismo e dell’indifferenza che sta trasformando il nostro mare Mediterraneo in un mare di morte o chiediamo di essere ponti in grado di garantire la solidarietà umana? Vogliamo un’Europa immemore della tragedia della guerra o vogliamo vivere in un continente capace di risolvere le controverse tra stati mediante l’uso della diplomazia? Vogliamo l’Europa della cultura dello scarto, dal feto alle ultime fasi della nostra esperienza terrena, oppure chiediamo un’Europa in grado di riconoscere e difendere la dignità umana sempre? Ci sono più di 50 milioni, uno per ogni elettore/elettrice, di buoni motivi per andare a votare l’8 e 9 giugno 2024. Il nostro buon motivo è quello di portare una porzione di Cielo e di stelle dorate dalla nostra bandiera a Strasburgo.
Giuseppe Di Nallo
segretario del gruppo Fuci di Padova