Don Giovanni Minzoni. Essere liberi, al costo della vita
Don Giovanni Minzoni, un secolo fa, il 27 agosto 1923 fu ucciso dal regime fascista, avverso al suo spirito senza vincoli e di fede che sapeva trasmettere. Promotore di battaglie in difesa della sua comunità di Argenta (Ferrara), don Minzoni fondò due sezioni scout locali. E questo fu visto come un affronto dal fascismo
«Il Maestro ama per primo, non offre istruzioni per l’uso o regole cui obbedire, ma amore da accogliere e vivere. Ecco, è solo questo amore che spiega le scelte e la testimonianza di don Minzoni, prete appassionato, amante della Patria, pastore creativo e fedele, uomo di preghiera e attento ai problemi concreti che aveva imparato ad affrontare in quella scuola di amore che fu la scuola sociale di Bergamo, con un’attenzione preferenziale per i poveri e i piccoli». Queste parole aprono il ricordo di don Giovanni Minzoni pronunciato dal cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, presidente della Cei, nel centenario della morte del prete ravennate, parroco di Argenta, grande paese in provincia di Ferrara ma in Diocesi di Ravenna, il 23 agosto 1923. Una morte “accidentale” inferta dai bastoni di due squadristi che quella notte l’attesero nell’oscurità per dargli una lezione in puro stile fascista. Lo stesso stile che due anni prima era costato la vita, sempre ad Argenta, a un sindacalista socialista, Natale Gaiba: l’omicidio era stato pubblicamente condannato dal parroco, che non aveva esitato a denunciarne i mandanti. Ma chi era questo prete trentottenne vittima dello squadrismo? Nato a Ravenna il 29 giugno 1885, don Minzoni era diventato prete in un contesto formativo che avvertiva forte il fascino del modernismo e del movimento democratico-cristiano di don Romolo Murri, da lui ascoltato in seminario. «Il modernismo – spiega Gianpaolo Romanato, docente e studioso di Storia della Chiesa moderna e contemporanea all’Università di Padova – fu un movimento intellettuale molto più che sociale, che travolse alcuni giovani sacerdoti italiani, ma suscitò interesse anche in altri, benché non ne siano rimasti coinvolti. Pio X intervenne condannandolo con l’enciclica Pascendi Dominici gregis nel 1907. Il coinvolgimento di Romolo Murri fu più casuale che sostanziale, dovuto alla sua ribellione politica alla Santa Sede quando fondò la Democrazia cristiana, movimento che preludeva al partito cattolico, espressamente vietato da Pio X dopo la soppressione dell’Opera dei Congressi. Fu sospeso e poi scomunicato quando si fece eleggere deputato nelle liste radicali, ma esercitò un enorme fascino sul giovane clero italiano, intriso di fermenti sociali, come lo era certamente Minzoni. Già la guerra di Libia aveva evidenziato nel clero un filone transigente e filo italiano che rimase vivo anche allo scoppio della prima guerra mondiale».
La grande guerra coinvolse don Minzoni nel 1916, quando era appena stato eletto dalle famiglie (antico privilegio) parroco di Argenta, dove aveva dato prova di sé nei sei anni da cappellano accanto a un parroco malato e dove erano stati apprezzati la sua franchezza, l’attitudine comunicativa verso tutti, vicini e lontani alla Chiesa, e le capacità organizzative: aveva inaugurato nel 1911 il ricreatorio maschile. Per tre anni aveva anche frequentato, come puntualizzato da mons. Zuppi, la Scuola sociale di Bergamo dove si insegnavano materie come sociologia, legislazione operaia, contabilità, diritto, legislazione scolastica. Don Minzoni arruolato come cappellano militare fu assegnato a un reparto di sanità d’Ancona ma chiese di essere assegnato a un reparto operativo per condividere la vita di trincea dei fanti, gli “ultimi” tra i soldati. Il suo patriottismo senza retorica e il suo coraggio gli meritarono una medaglia d’argento. Finalmente parroco ad Argenta, riprese con vigore i suoi due principali obiettivi: educazione dei giovani e assistenza ai lavoratori. Per i primi creò doposcuola, biblioteca circolante, cinema-teatro, circoli maschile e femminile e due sezioni scout. Per i lavoratori si prodigò nella diffusione della cooperazione tra i braccianti agricoli, soprattutto ex combattenti, e le magliaie. «Don Giovanni Minzoni – ricorda ancora Zuppi – non ha mai rinunciato a essere pastore di tutto il popolo, anche dei più distanti. Non c’erano lontani per lui... Per don Minzoni amore significava impegno di annuncio del Vangelo, legame con la sua comunità, “battaglie” sociali per proteggere le persone, a partire dai più poveri. Egli fu martire dell’amore per la sua comunità, parroco senza riserve che volle una comunità parrocchiale aperta e sbilanciata sulla carità». In quei primi anni Venti il clima politico si faceva sempre più rovente. Nel 1921 i fascisti conquistarono il potere ad Argenta spezzando con la violenza le organizzazioni socialiste. Don Minzoni pur senza fare attività politica dichiarò apertamente la sua avversione al fascismo e infine si vide costretto a «varcare il Rubicone», come disse, dichiarando la sua adesione al Partito popolare di don Sturzo. Quello che i fascisti non gli perdonavano era soprattutto questa passione per la libertà di pensiero e d’azione, privata e pubblica: in quest’ottica va letta la fondazione, nel luglio 1923, dopo il discorso agli scout cattolici di Pio XI, di due sezioni dell’Associazione scautistica cattolica italiana (Asci), che raccolsero subito settanta iscritti. «Non fu un’iniziativa isolata – sottolinea don Riccardo Comarella, prete padovano che da anni si occupa di scautismo prima come assistente diocesano e poi come responsabile del centro di spiritualità scout di Carceri d’Este – Dopo la controversa accoglienza dello scautismo da parte del cattolicesimo italiano, il 1922-1923 è stato il biennio d’oro con la fondazione di un gran numero di gruppi anche nel Padovano, a partire dal primo, a Villa Estense, seguito dal Padova 1 dei Gesuiti, Este, Montagnana, e anche parrocchie piccole come Rocca d’Arsié, Roana, Fonzaso, Cogollo. Presto però cominciarono violenze e intimidazioni contro gli scout e le loro sedi fin quando il fascismo non decretò la chiusura dei gruppi, anche cattolici. Oltre alla vincente concorrenza con l’Opera nazionale Balilla, il metodo scout era inconciliabile con la dittatura per quest’educazione alla libertà, al coraggio del libero pensiero favorito fin nei ragazzi, chiamati ad autoeducarsi». Quella libertà, dichiarata senza reticenze e timori, che a don Minzoni costò la vita.
“Via libera” alla beatificazione del parroco di Argenta
Nel centenario dell’uccisione del parroco di Argenta, don Giovanni Minzoni, da parte del regime fascista, arriva il via libera del Dicastero delle cause dei santi alla sua beatificazione. La causa è promossa dalla Chiesa di RavennaCervia, dalla parrocchia di Argenta, dall’Agesci, dall’Associazione nazionale Guide e scout cattolici d’Italia con il Masci (Movimento adulti scout cattolici italiani) e dagli Scout d’Europa.