Don Giorgio Bozza scrive alla Difesa: "Utero in affitto: non è come donare un organo"
Caro direttore, mi rivolgo a Lei in merito all’articolo del dott. Roberto Di Pietro, pubblicato nell’ultimo numero del settimanale diocesano, dal titolo Gestazione per altri.
Utero in affitto, immorale non è l’atto, ma quando c’è il lucro (pp. 16-17). Numerosi parrocchiani, studenti, confratelli e altre persone interessate alle questioni etiche si sono rivolti a me esprimendo il loro disagio riguardo alle parole del dott. Di Pietro. Desidero quindi approfittare della Sua cortese ospitalità per affrontare alcune questioni sollevate dall’autore dell’articolo che generano diversi interrogativi. La tematica è senza dubbio complessa e articolata; mi soffermerò su due passaggi che, con tutto il rispetto per il dott. Di Pietro, non condivido. Pur condividendo appieno la riflessione sulla condanna dell’ottenere profitto dalla gestazione per conto terzi, argomento sviluppato nella seconda parte dell’articolo, trovo discutibili le premesse su cui si basa il suo ragionamento. L’autore afferma: «Il solo fatto di portare in grembo un bambino concepito da altri non è di per sé una cosa necessariamente immorale». Cosa si intende con ciò? Seguendo questo ragionamento, se chiedessi a una donna di portare in grembo per nove mesi un bambino concepito con il mio seme o con l’ovulo di mia moglie e di consegnarmelo gratuitamente al termine di questo “servizio”, mosso da amore, altruismo o solidarietà, sarebbe giusto e moralmente accettabile? La maternità può davvero essere considerata un servizio da offrire ad altri? E quale concezione della sessualità sottende a questa visione funzionalistica? Quale valore ha il corpo e le relazioni corporee? Il personalismo ci insegna che la persona è il suo corpo e non ha un corpo; la sessualità è parte integrante della persona e non può essere separata da essa o ridotta a mera “funzione”, come sottolinea il dott. Di Pietro. Affermare che «Donare una “funzione” del proprio organismo, come donare un organo del proprio corpo, non è intrinsecamente contrario all’etica», mi sembra fuorviante e potenzialmente pericoloso. Questo paragone mette sullo stesso piano una persona, ovvero «una sostanza individuale di natura ragionevole e in relazione con gli altri» (Boezio-Tommaso), con un rene, midollo osseo o sangue donato, che possono essere dati per altruismo e solidarietà. Tuttavia, una persona non è il risultato di una “funzione”; le donne che portano alla luce un figlio non stanno semplicemente “funzionando”, ma partecipano al progetto creativo di Dio, compiono veri miracoli anziché mere funzioni. Inoltre, la persona non può essere considerata un semplice mezzo da donare come un organo. Secondo Kant, la persona è sempre un fine e mai un mezzo. Se la si riduce a un mezzo, si incappa inevitabilmente in questioni eticamente controverse. Un bambino non può mai essere considerato un mezzo, neppure se il suo scopo è soddisfare un desiderio nobile come quello di diventare genitori. Le persone non sono “organi” da donare, ma “vita donata”, non comprata, come giustamente afferma l’autore; tuttavia, esse non sono nemmeno soggetti destinati a servire “funzionalmente” altri. Ringrazio per l’attenzione e l’opportunità di esprimere queste riflessioni. Cordialmente,
don Giorgio Bozza