Davvero le religioni vogliono la pace? Il dialogo al Forum di Limena

Dialogo tra teologia e sociologia sul contributo delle religioni alla terza guerra mondiale. Enzo Pace, Stella Morra e Andrea Grillo sul rapporto tra fede, politica e nazionalismi

Davvero le religioni vogliono la pace? Il dialogo al Forum di Limena

L’invasione dell’Ucraina e la ripresa dei conflitti in Medio oriente, per fermarci alla prima pagina del giornale, ci hanno fatto uscire dagli ottimismi di fine secolo sulla permanenza della pace, costringendoci a fare i conti nuovamente con la permanenza della guerra. E paradossalmente, tra chi è impegnato oggi a preparare, legittimare, inasprire i conflitti e a renderli non componibili vediamo emergere soggetti di natura religiosa. Le religioni stesse diventano un campo di battaglia. E c’è la sensazione che le componenti fondamentaliste siano più attive ed efficaci di quelle orientate a costruire la pace. Perché? Il convegno, promosso dal Forum di Limena, svoltosi il 20 aprile, dal titolo “Il contributo delle religioni alla terza guerra mondiale” si è interrogato su questo quadro pericoloso: perché le religioni (o parti di esse) rientrano in guerra? Ma anche, perché sono deboli quelle istanze religiose che si sforzano di costruire la pace? Lo sforzo, ha sottolineato Alessandro Castegnaro nell’introduzione, è quello di cogliere quali margini ci sono perché vi possa essere un contributo delle religioni, efficace, non ingenuo, non parolaio, alla costruzione della pace mondiale. E in che modo, noi cristiani, stiamo facendo i conti con questo nuovo quadro storico. Il primo contributo è venuto dal sociologo Enzo Pace, il quale ha ricordato che dagli anni Ottanta del secolo scorso a oggi, il fattore religione costituisce un valore aggiunto per comprendere le relazioni internazionali, soprattutto dopo la lunga transizione dal mondo diviso in due blocchi, segnato dal crollo del Muro di Berlino, a un nuovo furioso disordine mondiale. Non siamo di fronte a guerre di religione. Le religioni entrano in gioco, perché le politiche d’identità etno-nazionale hanno bisogno di una legittimazione simbolica che altrimenti non potrebbero vantare. Alla domanda, dunque, se ed eventualmente perché le religioni siano coinvolte più o meno direttamente nelle guerre in corso, una risposta può essere così formulata: quando in una società s’impone l’idea di un primato originario, naturale, di un’etnia su tutte le altre, le religioni possono fornire i codici simbolici e linguistici per rafforzare tale idea, sacralizzandola, trasformando un progetto politico contingente in una missione escatologica, che non ammette concessioni e mediazioni di sorta. Quando ciò accade, la politica dichiara il suo fallimento, affidando il suo destino alla critica delle armi. Durante le guerre Balcaniche del 1990-2001 si è materializzato, nella riva orientale del Mediterraneo, un nazionalismo etno-religioso che abbiamo imparato più tardi a riconoscere in forme diverse anche altrove. Secondo il prof. Pace, in più parti del mondo, le religioni sono tornate a gonfiare le vele degli etno-nazionalismi. Ogni volta che una religione chiede al potere politico di difendere la pretesa di verità che essa gelosamente tiene per sé, rinuncia alla sua vocazione universalistica, si relativizza nel senso che prende parte alla contesa politica, sino alla guerra. Solo quando le religioni si liberano dall’abbraccio della politica, diventano credibili quando invocano la pace e mobilitano i loro fedeli nei movimenti che pacificamente cercano di favorire l’intesa etica tra culture diverse.

In ambito della comunità cristiana, secondo la teologa Stella Morra, la questione non deve essere unicamente pensata a partire dall’idea dell’abolizione della guerra, ma deve confrontarsi in modo non ingenuo con il permanere della guerra. In altre parole, coltivare la coesistenza “interna” al cristianesimo di una pluralità di strade e livelli. Non si tratta di ricercare una sola risposta o tesi. La vera azione a servizio della pace è, invece, trovare e mostrare pratiche di questa convivenza delle differenze. Papa Francesco parla di sperimentare un conflitto non distruttivo, ma generativo. Questo implica cercare di confrontarsi con quanto di nuovo sta nascendo nella società e nel mondo, evitando di soffermarsi alle sole manifestazioni estreme e cogliendo semi di presenza del Regno. In merito alle questioni del convegno, serve una maggior profondità di comprensione non solo quanto all’origine della guerra, ma alle sue dinamiche, gestioni e poteri. Il teologo Andrea Grillo ha iniziato il suo intervento citando il recente documento Dignitas infinita, che affronta anche la questione della guerra. Nei numeri 38-39 il documento riafferma il diritto inalienabile alla legittima difesa nonché la responsabilità di proteggere coloro la cui esistenza è minacciata, ma osserva anche che la guerra rimane sempre una «sconfitta dell’umanità». La guerra, come tema di fede e di ragione, mostra il limite intrinseco alla «logica razionale della violenza istituzionale». La teologia, quindi, dovrebbe aiutare a identificare una terza via tra un pacifismo senza eccezioni e un bellicismo immediato. Facendo emergere con maggiore evidenza come il “disegno di Dio” sia sempre un disegno di pace. Questo porta a rielaborare la sovrapposizione tra fede, religione, popolo, nazione, aprendo all’orizzonte della fratellanza. Per parlare significativamente della “guerra”, si deve proporre una sintesi di ragione e fede che faccia del tema “guerra” un’analisi capace di una visione complessiva, senza lasciare, da un lato, la fede “esterna” alla ragione e, dall’altro, la ragione “esterna” alla fede. L’immediata coincidenza tra verità di ragione e verità di fede è una illusione, che rende più forti le forme del razionalismo senza fede e del fondamentalismo senza ragione. Nella conclusione Alessandro Castegnaro, per il Forum di Limena, ha sottolineato come la crisi dell’ordine mondiale e le sue sfide presenteranno il conto in tempi molto stretti. Spetta ai credenti tutti cooperare con urgenza perché le religioni diventino attori efficaci di pace. Altrimenti, ci si limiterà a chiedere loro di non far danni.

Stefano Bertin
Per il forum di Limena

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