Da grande. La professione della vita: esiste una domanda più difficile per i giovani?
Per sognare il futuro non bastano modelli e indicazioni, sono necessari due ingredienti fondamentali: la fiducia e la speranza
Che cosa vorresti fare “da grande”?
Esiste una domanda più difficile per un adolescente?
Per rispondere un po’ di tempo c’è e per chiarirsi le idee la famiglia e la scuola rappresentano i primi interlocutori. Nel percorso di orientamento formativo e professionale dei giovani, però, sullo sfondo a condizionare le scelte c’è il mondo dell’economia e della finanza. Cosa chiede il mercato del lavoro? Quali sono i maggiori bacini occupazionali? E poi, non sottovalutiamo il ruolo dei socialmedia, che propongono modelli e influenzano fortemente le nuove generazioni.
Per sognare il futuro, comunque, non bastano modelli e indicazioni, sono necessari due ingredienti fondamentali: la fiducia e la speranza che, nel panorama nichilistico attuale, assumono l’aspetto di una vera e propria sfida. La nostra quotidianità sembra essere priva di orizzonti futuri, schiacciata dal disincanto e dalla banalizzazione del vivere e i nostri figli respirano questo scetticismo.
La cultura del “tutto è subito” fatica a essere progettuale. Le statistiche più recenti ci dicono che in cima alle ambizioni dei giovani c’è il conseguimento della professione medica seguita da quelle forense, ingegneristica, docente e veterinaria. Non mancano gli aspiranti architetti e psicologi, perfino gli astronauti. E poi, a seguire, c’è chi vorrebbe diventare poliziotto, cuoco e ovviamente calciatore.
Sono scelte consapevoli, dettate da autentiche “vocazioni”, o si tratta di risposte dettate dalle richieste del mercato del lavoro, dalle aspettative delle famiglie o da proiezioni idealizzate?
Nella scuola i percorsi di orientamento sono attivi ormai da qualche anno, gli studenti hanno l’opportunità di incontrare rappresentanti del mondo del lavoro e di quello accademico. Eppure i dati che riguardano l’abbandono degli studi universitari nel nostro Paese non sono incoraggianti. Negli ultimi dieci anni non è mai stato così alto, passando dal 6,3% al 7,3% (dati Miur). Tutto questo a fronte della crescita del numero di iscrizioni che è addirittura aumentato del 10,3% rispetto al decennio passato, anche in virtù della presenza delle università telematiche.
Come aiutare, dunque, i giovani a progettare bene il proprio futuro e in maniera efficace?
Occorre principalmente aiutarli ad avere ben chiaro quali siano i propri interessi, ad avere consapevolezza delle proprie competenze, a saper comprendere se le proprie attitudini possano rappresentare una professione per il futuro.
Cosa mi motiva? Cosa mi piace fare? Sono bravo/a in quello che mi piace? Quali sono gli obiettivi che vorrei raggiungere? Queste le domande chiave che i giovani dovrebbero porsi nel proprio cammino formativo. L’autoconsapevolezza genera un ciclo virtuoso, alimenta entusiasmo, scopre talenti e si trasforma in autoefficacia.
Riflettere sulle proprie capacità aiuta ad affrontare le proprie lacune e mancanze senza paure, ma con spirito costruttivo. Insegna a essere umili e flessibili. L’umiltà nel contesto attuale non è certo considerata un pregio, eppure è l’unica via che conduce alla reale conoscenza di sé e del mondo circostante. I giovani spesso traboccano di facile entusiasmo e sono attratti da falsi richiami. Le energie, però, non vanno mortificate, semplicemente devono essere orientate e canalizzate.
La realizzazione di un progetto che sia degno delle sue attese più autentiche e profonde deve comunque potersi avvalere di sinergie sociali che coinvolgano il singolo, la famiglia, la scuola, il territorio e soprattutto la politica.
Occorre, inoltre, tornare a ridefinire i modelli di riferimento, impresa non facile in uno scenario costellato da idoli “falsi e bugiardi”.
Restituire la speranza e la fiducia nel futuro ai nostri figli è la sfida educativa più urgente, ma anche un atto etico dovuto a una generazione totalmente immersa in un clima di spaesamento ereditato e non scelto.