Coronavirus: dall’Italia una prova collettiva inaspettata
Senza fare confronti ovviamente improponibili, è tutto il Paese che sta dando una prova collettiva per certi versi inaspettata. Noi stessi forse non ce ne rendiamo conto fino in fondo. Prendiamo il caso della scuola. Pur con tanti limiti strutturali, a partire dai mezzi inadeguati sia negli istituti che nelle famiglie, c'è stata una mobilitazione straordinaria, al punto che sono andati in affanno i software con cui vengono gestiti i registri elettronici su cui vengono caricate le videolezioni. Le città e i paesi deserti fanno impressione e ci angosciano, ma sono il segno che gli italiani hanno saputo accettare una condizione inedita e insorta repentinamente, riuscendo persino in questo caso a fare valere le risorse di creatività diffusa e solidale
E se scoprissimo che l’Italia è migliore di come la raccontano o di come ce la siamo raccontata noi stessi? Il primo pensiero corre naturalmente a medici e infermieri in prima linea: stanno offrendo tutto il possibile e anche molte dosi di impossibile, pagando per giunta un prezzo altissimo in termini di contagi e di morti. Brecht diceva beato il popolo che non ha bisogno di eroi. Sarà.
Eppure di eroi come quelli che stanno combattendo corpo a corpo (come in guerra, ma per salvare vite) contro il virus, l’Italia ha un drammatico bisogno. Che Dio li protegga e li benedica tutti.
Ma senza fare confronti ovviamente improponibili, è tutto il Paese che sta dando una prova collettiva per certi versi inaspettata. Noi stessi forse non ce ne rendiamo conto fino in fondo. Prendiamo il caso della scuola. Pur con tanti limiti strutturali, a partire dai mezzi inadeguati sia negli istituti che nelle famiglie, c’è stata una mobilitazione straordinaria, al punto che sono andati in affanno i software con cui vengono gestiti i registri elettronici su cui vengono caricate le videolezioni. Le città e i paesi deserti fanno impressione e ci angosciano, ma sono il segno che gli italiani hanno saputo accettare una condizione inedita e insorta repentinamente, riuscendo persino in questo caso a fare valere le risorse di creatività diffusa e solidale.
Certo, ci sono ancora troppi comportamenti irresponsabili. Ci sono coloro che speculano sull’emergenza (dentro ma – purtroppo – anche fuori dai confini nazionali). Ci sono politici che non riescono proprio a mettere da parte il proprio tornaconto e soffiano sul fuoco.
Del resto, non è che con questa riflessione semplice e sincera si voglia tentare di spargere ottimismo a buon mercato. Sarebbe persino offensivo nei confronti di coloro che vivono la tragedia in atto in modo ravvicinato, se non sulla propria pelle e su quella delle persone care. La luce in fondo al tunnel per ora possiamo soltanto immaginarla, gli esperti ci dicono che il picco dell’epidemia deve ancora arrivare e che comunque sarà lunga. Proprio per questo è importante che impariamo a volerci bene e a stimarci come comunità nazionale. Senza irenismi e unanimismi di facciata.
Sono ricomparsi i tricolori appesi ai balconi. Così tanti non si vedevano dai Mondiali del 2006. Ma stavolta siamo tutti in campo e la posta in gioco è il futuro stesso del nostro Paese.