Con lo sguardo dell’acrobata. Davanti a un anno che si chiude e un anno che si apre
Un giovane teologo francese che vive al Cairo, Adrien Candiard, ha scritto sagaci “note di fiducia per cristiani disorientati” raccolte nel piccolo libro “La speranza non è ottimismo”
Anche nel passaggio da un anno all’altro le notizie non annunciano un decisivo cambio di passo dei conflitti, si alternano tra buone e cattive ma non consentono di dire che la storia sta cambiando direzione e che si stanno aprendo sentieri di pace e di giustizia. Ancora bombe sulle città, ancora stragi di innocenti, ancora arroganze dei potenti, ancora ferite al pianeta, ancora promesse che tutto andrà bene.
In questo scenario ci sono uomini e donne che non si arrendono al pessimismo, all’indifferenza, al qualunquismo.
Non sono quegli ottimisti che fischiettano allegramente al buio, che si lasciano affascinare da luci effimere, che voltano pagina davanti a realtà dolorose, che si accalcano attorno ai banchetti del mercato delle illusioni e dei miraggi.
Sono uomini e donne che, come altri, sperimentano il disorientamento e si interrogano sul senso di tutto quello che sta accadendo. A loro un giovane teologo francese che vive al Cairo, Adrien Candiard, ha dedicato sagaci “note di fiducia per cristiani disorientati” raccolte nel piccolo libro “La speranza non è ottimismo”.
C’è un’immagine che scorrendo le pagine attrae ed è quella dell’acrobata, di “colui che capovolge il proprio sguardo per osservare il mondo secondo un’altra logica, quella della fede, pur restando appoggiato per terra”.
Qualcuno che attraversa e non ignora le crisi che stanno rendendo sempre più incerto in cammino dell’uomo, che procede nella complessità e nell’incertezza ancorato a quella speranza che non viene da calcoli o previsioni umane ma nasce dalla fiducia reciproca tra l’uomo e Dio.
A quest’uno che cammina, scrive Candiard, le crisi che sono sonori schiaffi appaiono anche come carezze, come incontri con la tenerezza che abbraccia la sofferenza.
È un esercizio da acrobati, quello che propone il giovane teologo francese, un esercizio rischioso perché controcorrente, rischioso come è rischioso il Vangelo con le sue parole folli che si oppongono alle parole vane.
Sperare, lascia intendere Candiard è “sapere che in realtà ho qualcosa di utile da fare, cioè continuare a trovare in tutto un’occasione per amare”.
Sperare è un atto di amore. Un atto che non ignora e neppure sottovaluta il realismo e il pessimismo ma non si rassegna al loro nulla e diventa la prova che al venire meno della cristianità corrisponde il nascere di un cristianesimo che con il pensiero e la vita dice a un mondo disorientato le ragioni di quella speranza che dona il sapore dell’eternità alla storia dell’uomo.
Non è mai stato e non sarà un compito facile. Non a caso Candiard lo paragona a quello dell’acrobata che nel suo esercizio guarda il mondo e i giorni con gli occhi della fede: il Giubileo appena iniziato si propone come una straordinaria palestra in cui allenarsi.