Come guidare con gli occhi sul retrovisore. I giovani arrancano e noi litighiamo sulle pensioni
È bastato che la presidente del Consiglio Meloni annunciasse un «doveroso» confronto con le parti sociali in vista della
Legge di bilancio perché nel Paese ripartisse il tormentone sulla riforma delle pensioni con annessa lotteria delle quote: 102, 103, 104… Sgombriamo il campo da principio.
Il pensiero libero che state per leggere non è per nulla un attacco a chi ha guadagnato sul campo il meritato riposo o contro i lavoratori che dopo decenni di fatiche vedono l’agognato traguardo. Lo è semmai contro una classe dirigente che ama molto di più guidare con lo sguardo puntato sullo specchietto retrovisore piuttosto che rivolto alla strada oltre il parabrezza anteriore. È evidente: le maggiori responsabilità sono della politica, ma nessuno è esente. Se al tema pensioni i partiti hanno da tempo collegato il pacchetto maggiore di voti a cui aspirare, i sindacati sanno che dai diretti interessati dipende il numero più cospicuo di tesserati. I media, dal canto loro, in un’Italia in cui il digitale non decolla con decisione e la popolazione legge e si informa a tassi nemmeno paragonabili a quelli dei Paesi anglosassoni, anziché innovare mantengono lo zoccolo duro di lettori-spettatori con i capelli bianchi, danno loro in pasto i temi che (immaginano) faranno vendere qualche copia o genereranno qualche ascolto in più. Così la giostra continua a girare come sempre, senza novità, senza aprire nuovi scenari, senza lasciar presagire un minimo di programmazione del futuro. L’importanza della previdenza sociale – di cui la pensione è uno dei capisaldi – non sfugge a nessuno. Nemmeno a chi dista decenni da una pensione tutt’altro che garantita. Ci sia permesso tuttavia di recriminare contro un sistema-Paese che da anni si avvita attorno allo stesso tema, senza uno straccio di reale innovazione e, peggio, promuovendo interventi minimi rispetto al fattore principale alla base di ogni riforma pensionistica: il numero dei lavoratori del futuro che saranno in grado di sostenere il sempre crescente volume di denari necessari a retribuire chi entra – assai giustamente – in quiescenza. Se non invertiamo la rotta in termini di natalità, qualsiasi norma sarà inutile a breve. Il vero merito dell’assegno unico varato lo scorso anno è quello di aver messo ordine nella giungla di bonus e sgravi tra cui le giovani famiglie oramai non riuscivano più nemmeno a districarsi, ma non è stato certo risolutivo in termini di sostegno economico. Se su questi temi si discutesse un terzo di quanto si fa sulle pensioni, avremmo già messo le basi per il futuro. Ma non soddisfano gli appetiti di partiti, sindacati, corpi intermedi e, purtroppo, anche dei media (con tutte le eccezioni del caso, non c’è nemmeno bisogno di dirlo). Una provocazione: nei primi mesi della pandemia da Covid-19, ci siamo resi immediatamente conto di quanto stavamo sottraendo alle ultime generazioni con le misure di contenimento del virus. Un anno di smart-working a quaranta o più anni non è nemmeno lontanamente paragonabile con dei mesi trascorsi di fronte a un monitor anziché andare a scuola, mettendo da parte tutte le relazioni, lo sport, facendo i conti con il coprifuoco per lunghi mesi. Ebbene: che cosa stiamo restituendo a questi giovani e ragazzi ora che l’emergenza è calata di intensità? Quali misure – come genitori, educatori, amministratori, parrocchie, associazioni, politici, lavoratori – abbiamo messo in campo, nella nostra semplice quotidianità, per riconsegnare un briciolo di in più di vita vera a queste generazioni penalizzate? Anche questa settimana, gli esperti che parlano nelle nostre pagine sottolineano i livelli di ansia che si registrano tra adolescenti e giovani, il tasso crescente di attacchi di panico. Si fatica a considerare i temi che stanno a cuore a loro, come l’emergenza climatica. Di fatto i giovani oggi sono un fenomeno da osservare, un tema in un bilancio o programma elettorale, ma non sono dei soggetti degni di considerazione. Quali quote e quali obiettivi ci diamo per questi studenti o lavoratori con contratti capestro mentre ci accapigliamo sulle pensioni?