Ci si aspetta un autunno caldo per le istituzioni Ue?
Dopo l'estate arriveranno al pettine alcuni nodi che riguardano profilo e ruolo di Parlamento, Commissione e Consiglio europeo
Per le istituzioni di Strasburgo e Bruxelles si profila una (salutare) pausa estiva. Dopo mesi di campagna elettorale, il voto del 23-26 maggio, i fitti negoziati per definire i “top job”, l’insediamento del nuovo Europarlamento e il voto della presidente della Commissione, già s’intravvede all’orizzonte un “autunno caldo”. Le audizioni parlamentari per i futuri commissari designati dagli Stati membri e il voto di fiducia dell’Assemblea Ue per l’esecutivo, segneranno il periodo settembre-ottobre. Per arrivare, fra il 1° novembre e il 1° dicembre, ad avere in carica, e al lavoro, i presidenti della stessa Commissione, del Consiglio europeo, della Banca centrale e l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza.
Dopo di che occorrerà recuperare un progetto e una direzione di marcia condivisi per rilanciare l’Ue e produrre quei risultati concreti che i cittadini si attendono dall’Europa, da realizzarsi mediante una efficace collaborazione con gli Stati membri, questa a sua volta regolata dai principi di solidarietà e sussidiarietà iscritti nei trattati. Il tutto in una Ue a 27, nella speranza – a questo punto occorre dire così – che il 31 ottobre, come pattuito, il Regno Unito receda dalla “casa comune”, per prendere la propria strada, pur rimanendo un Paese amico e un buon partner dell’Unione.
Sullo sfondo si colloca inoltre la “Conferenza sul futuro dell’Europa” che, auspicata da molti, sta prendendo forma soprattutto grazie alla “benedizione” giunta, nei loro primi discorsi, dal presidente del Parlamento Sassoli e della Commissione Von der Leyen.
Sarà però probabilmente l’autunno a portare alla luce tre nodi che attendono di essere sciolti. Il primo riguarda il Parlamento europeo, con la rinnovata composizione definita dalle urne di maggio. La camera conserva una forte maggioranza europeista, che peraltro sconta al suo interno notevoli differenziazioni e talora dei veri e propri equivoci; nel frattempo si sono rafforzati i gruppi euroscettici e sovranisti, a loro volta frastagliati e con numeri relativamente contenuti (meno di 200 deputati). L’Assemblea di Strasburgo dovrà affinare la propria fisionomia, definire (ma si tratta di un esito non scontato) una vera maggioranza che sostenga un piano di riforme dell’Ue, facendo squadra con la Commissione. Solo così l’assise eletta a suffragio universale per rappresentare i 500 milioni di cittadini Ue potrà rivestire un ruolo essenziale per il futuro dell’Europa comunitaria.
Dal canto suo la prossima Commissione è chiamata a lavorare con un forte amalgama, un programma ambizioso e al contempo davvero realizzabile, e una assoluta autonomia dai governi dei Paesi membri. Perché il compito della Commissione – benché non molti lo ricordano – è proprio quello di puntare al “bene comune europeo”, mediando interessi e necessità degli Stati aderenti, non inseguendoli né assecondandoli. All’Europa serve una Commissione indipendente, forte, decisa, ben strutturata. All’interno del collegio saranno certamente presenti commissari di chiara marca sovranista (in quanto nominati da governi di quell’orientamento), eppure il team di Ursula Von der Leyen dovrà procedere unita e determinata per perseguire il ruolo che le è assegnato di “custode dei Trattati”. I commissari se ne dovranno ricordare (e taluni farsene una ragione).
Non da ultima, la terza principale istituzione, il Consiglio, dove siedono i rappresentanti dei governi. È l’organismo che, storicamente, ha tirato il freno a mano dell’integrazione. Ma se all’Ue si vuole dare una prospettiva e una capacità di azione, sia all’interno del continente che sulla scena mondiale, proprio il Consiglio dovrà evitare di moltiplicare gli ostacoli nel cammino comune e indossare invece i panni del coraggio e della coerenza politica. Il Consiglio, ad esempio, sta frenando la riforma di Dublino e la costruzione di una vera politica europea in fatto di migrazioni; mette i bastoni tra le ruote della difesa comune, ritarda l’Unione bancaria e così pure una reale strategia energetica su scala Ue. Questo è il tempo delle scelte: i politici nazionali saranno giudicati anche in base alla capacità di fare dell’Unione europea uno strumento di risoluzione dei problemi anziché additarla continuamente come una parte stessa dei problemi.
La levatura di tanti politici del passato si è misurata sul versante europeo. Qui si colloca una prova d’esame per i nuovi governanti.