Brutti pensieri. La sfera sociale si configura come il principale oggetto di ricerca per comprendere il problema dei pensieri suicidi
I nostri giovani esprimono un malessere che riguarda l’intera società e sul quale ci sono ampi margini di intervento, ma occorre prenderne coscienza
Uno studio del gruppo Musa (Mutamenti sociali, valutazione e metodi) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Irpps), condotto tra il 2021 e il 2022 su un campione di circa quattromila studenti delle scuole secondarie di secondo grado e pubblicato qualche settimana fa sulla rivista Scientific Reports of Nature, si è concentrato sui pensieri suicidi che pare riguardino circa la metà degli adolescenti italiani (44,9%).
Il fenomeno è preoccupante e i ricercatori, rispetto alle cause che lo determinano, hanno offerto una lettura parzialmente inedita. Ciò che i dati dell’indagine dimostrano, infatti, è che all’origine dei pensieri suicidi e autolesionistici degli adolescenti non vi sia essenzialmente un disagio psicologico (come la maggior parte degli studi precedenti affermano), ma particolari dinamiche di interazione sociale e specifiche caratteristiche socio-demografiche.
In realtà, i risultati confermano l’esistenza di un’associazione diretta tra il malessere psicologico e il pensiero suicida, ma chiariscono anche però che, a esclusione di implicazioni psichiatriche, esso non determina ma “è determinato” dal deterioramento dell’interazione umana. La sfera sociale si configura come il principale oggetto di ricerca ai fini della comprensione e del trattamento del problema dei pensieri suicidi.
L’indagine ha messo a fuoco dei “profili” maggiormente a rischio: il fenomeno colpisce soprattutto le ragazze, chi vive nelle are settentrionali del Paese, chi ha una cittadinanza straniera, chi frequenta gli istituti tecnici, i non credenti e chi ha un background familiare economico basso.
I pensieri suicidi scaturiscono soprattutto da stati di ansia, depressione, bassa autostima, infelicità e insoddisfazione, alta intensità di emozioni primarie negative e un atteggiamento negativo verso il futuro. Gli aspetti appena elencati sono però sintomi della presenza di una stretta e insoddisfacente rete amicale, di relazioni qualitativamente scarse con pari e genitori, di problemi di rendimento scolastico, iperconnessione, insoddisfazione corporea e coinvolgimento come vittime nel bullismo e nel cyberbullismo.
“Il fatto che le ragazze maturino pensieri suicidi più dei loro coetanei è motivato dall’influenza di norme sociali di genere e dalla pressione di modelli estetici che compromettono la soddisfazione corporea, l’autostima e il piano delle emozioni”, ha chiarito Antonio Tintori del Cnr-Irpps, responsabile dell’indagine. “La maggiore frequenza del pensiero suicida tra gli adolescenti delle regioni settentrionali, gli intervistati stranieri e i non credenti, testimonia invece il ruolo cruciale dell’interazione sociale, che in Italia tende a essere più forte nelle regioni del Centro-Sud rispetto al Nord, mentre il rischio più elevato di comportamenti suicidari negli adolescenti con un background migratorio è spiegato non solo dalle sfide di acculturazione ma anche spesso dalla presenza di condizioni socioeconomiche svantaggiate, che costituiscono parimenti un limite all’integrazione. Analogamente, il ruolo protettivo del credo religioso si connette allo spirito di comunità e alle reti sociali di sostegno caratterizzanti la partecipazione religiosa”.
Sullo sfondo continua a esserci lo spettro della pandemia Covid-19, che ha fortemente minato gli equilibri sociali e modificato in parte le relazioni tra i giovani.
Urgono quindi interventi mirati e preventivi. La scuola dovrebbe diventare il luogo primario dove promuovere il benessere relazionale giovanile e monitorare gli eventuali disagi psicologici. La progettualità dovrebbe partire dalle scuole primarie, con il coinvolgimento di insegnanti e genitori, in materia di iperconnessione, devianza e violenza relazionale, educazione emotiva, autostima e decostruzione di simbolismi e condizionamenti sociali che stereotipizzano e gerarchizzano l’ambiente vissuto.
I nostri giovani esprimono un malessere che riguarda l’intera società e sul quale ci sono ampi margini di intervento, ma occorre prenderne coscienza e avviare politiche giovanile concrete e fattive, al di là degli slogan e della propaganda. Occorrono educatori motivati e preparati e percorsi di istruzione meno orientati alla misurazione della performance e più improntati alla formazione dell’individuo.