Bisogna aver visto. Studenti universitari e detenuti alla scuola del carcere
Una decina di studenti bocconiani si sono incontrati nelle scorse settimane in un’aula studio del carcere San Vittore di Milano con una trentina di carcerati
Il progetto è dell’ex ministro della giustizia Marta Cartabia: una decina di studenti bocconiani tra i 19 e i 20 anni si sono incontrati nelle scorse settimane in un’aula studio del carcere San Vittore di Milano con una trentina di carcerati tra i 28 e i 60 anni. È stato un inconsueto percorso fatto di ascolto, di confronto, di contatto con la realtà: il carcere si è fatto scuola.
Non un “sentito dire” sulle condizioni di vita e sul pensiero di chi vive dietro le barre ma un contatto con persone che con la privazione della libertà pagano per gli errori commessi, per le ferite inferte ad altri e alla società tutta.
Non un’iniziativa di volontari che entrano nelle carceri con l’ammirevole impegno di condividere una sofferenza e di portare oltre le sbarre la richiesta di un sostegno per riaccendere la speranza.
Neppure un aggiornamento del grave sovraffollamento che al 31 marzo 2024 porta a 61.046 il numero dei reclusi, delle inadeguate strutture, della violazione di diritti umani, dei suicidi in carcere di detenuti e anche di agenti che nei primi mesi del 2024 hanno superato quota trenta.
Certamente l’intento del ponte culturale tra Università Bocconi e San Vittore è prendere atto della realtà partendo da un’affermazione di Piero Calamandrei: “Bisogna aver visto”. Studenti e i detenuti hanno imparato l’uno dall’altro come rispondere all’indifferenza e all’immobilismo di gran parte della politica, delle istituzioni e della stessa opinione pubblica.
Gli universitari bocconiani non si sono seduti da una parte ma in mezzo ai detenuti per ascoltarsi e per ascoltare: la loro è una testimonianza che parla ai compagni di studio, a coloro che formeranno la nuova classe dirigente.
“Chi è davvero disposto a dare fiducia a dei detenuti?”: questa è stata e rimane la domanda che ha unito ma anche inquietato i sei incontri dietro le sbarre.
Tra le risposte c’è quella del direttore del carcere, Giacinto Siciliano: “Bisognerebbe proporre che le aziende con un tot di dipendenti siano obbligate ad assumere un detenuto”. Non bastano le agevolazioni previste dalla legge Smuraglia per le aziende che assumono ex detenuti e sono molto pochi i tirocini retribuiti.
Le otto studentesse e i due studenti della Bocconi “hanno visto”, tornati ai loro studi, saranno tra qualche anno e con altri coetanei la classe dirigente del Paese, una classe dirigente consapevole che la civiltà di un Paese si manifesta nella risposta alle domande di giustizia e di dignità che vengono dai luoghi della fragilità. Luoghi che “bisogna aver visto” e dalla cui cura si misura la grandezza di un popolo.
Con sorpresa si ritrova il senso di questo percorso nelle parole ricche di dignità e di speranza che domenica 28 aprile Papa Francesco ha avuto nel cortile del carcere femminile della Giudecca a Venezia e, pochi minuti dopo, nell’incontro con gli artisti al padiglione della Santa Sede alla Biennale d’Arte di Venezia dal titolo “Con i miei occhi”. Come non scorgere il filo che unisce questi occhi al “Bisogna aver visto” di Calamandrei?.