2 novembre. La morte come canto. La Lettera.d padre Guidalberto Bormolini
C’è una morte terribile che è l’indifferenza, il non amore, e c’è una morte che è porta di vita, in cui l’amore ci salva: «L’amore fa rinascere la vita nella divinità»
«Io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno» (Gv 8,51); «Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Non è il Dio dei morti, ma dei viventi!» (Mt 22, 31-31); Marco aggiunge anche l’invettiva «Voi siete in grave errore» (Mc 12,27). Amore e Morte nel mito greco antico erano fratelli gemelli. Di loro Giacomo Leopardi, scriveva che «cose quaggiù sí belle, altre il mondo non ha, non han le stelle». Il Cantico dice «forte come la morte è l’amore» (Ct 8,6). Vivere come spazio d’amore il tempo della morte non è semplice per la nostra civiltà. Ma possiamo iniziare rivolgendo amore a coloro che abitano questo spazio: i nostri cari defunti! Il nostro opulento Occidente ci ha insegnato a ignorare la morte, e quindi i morti, strappandoci dalle radici dell’umano stesso: la civiltà è iniziata proprio con la sepoltura dei morti! Prima di levigare le pietre, ben prima di iniziare a usare la scrittura, gli esseri umani si prendevano cura dei defunti. Quindi la storia della civiltà umana è anche, fin dal principio, una storia d’amore per i defunti. Di questa cura amorevole abbiamo traccia in tutti i popoli: nell’antico Egitto, in India, Persia, Cina, così come nella civiltà greca e romana. La nostra civiltà ha come segno originario la fiducia in una vita ultraterrena e con una prima forma di rapporto con la trascendenza. Morire e risorgere, questa è la via tracciata per l’essere umano, compiuta radicalmente in Cristo! A questo bisogna allenarci per una vita intera, iniziando a morire anche alle proprie false convinzioni, idee, ideologie. Oggi tanti si domandano: sarà tutto finito con la morte? E le creature da noi amate finiranno in nulla?
Santa Faustina Kowalska racconta di essere stata portata in estasi in Paradiso, e le fu rivelato come tutte le creature partecipino, nell’aldilà, a una sorta di sacro canto cosmico: «Oggi in ispirito sono stata in Paradiso e ho visto l’inconcepibile bellezza e felicità che ci attende dopo la morte. [...] Ho visto quanto è grande la felicità in Dio, che si riversa su tutte le creature, rendendole felici. Poi ogni gloria e onore che ha reso felici le creature ritorna alla sorgente ed esse entrano nella profondità di Dio, contemplano la vita interiore di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, che non riusciranno mai né a capire né a sviscerare» (Diario, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007, p. 289). Che bellezza: un cantico infinito! L’umanità deve comprendere che la morte è ambivalente. C’è una morte terribile, che è l’indifferenza, il non amore: «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte» (1Gv 3,14). E c’è una morte che è porta di vita, in cui l’amore ci salva: «Chi è amato non conosce morte, perché l’amore è immortalità, o meglio, è sostanza divina. Chi ama non conosce morte, perché l’amore fa rinascere la vita nella divinità» (Emily Dickinson). Il pellegrino russo dei Racconti, narra che cantando nel cuore il Nome dell’Amato divino, questo «mi dava una letizia che avrei ritenuto impossibile su questa terra, e mi domandavo come le delizie del regno celeste potessero essere maggiori di queste [...] a volte provavo una gioia così intensa, come se mi avessero eletto imperatore. E in tutti questi momenti di gioia desideravo che Dio mi concedesse di morire al più presto e di effondermi in gratitudine ai suoi piedi nel mondo degli spiriti» (Anonimo, Racconti di un pellegrino russo 4).
«In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita» (Gv 5,25). I mistici insegnano che solo se si è fatto il vuoto dentro di noi, il Signore può entrare nella nostra dimora e arricchirla con il suo canto come risposta al canto di cui parla Il Pellegrino Russo. La più grande esperienza dei santi, quella dell’estasi, è la totale unione dell’uomo con la divinità, in cui cantando il Suo Nome a ogni respiro, morendo con questo canto sulle labbra, unendo per sempre il nostro canto al suo canto d’amore infinito... la nostra vita diviene infinita! Con Lui!
padre Guidalberto Bormolini
Monaco e Tanatologo, Docente al Master in Death Studies dell’Università di Padova - ideatore della collana Tuttoèvita formazione delle edizioni Messaggero Padova