Una distanza col mondo difficile da colmare
Tutti sperimentiamo il fastidio di quando, cellulare alla mano, “non abbiamo campo”. Ma ben più grave è quando, stando in un campo vero e senza cellulare, ci accorgiamo di essere proprio fuori posto.
Non so quanti siano coloro che visitando un luogo, paesaggio, monumento o complesso urbano, possano ancora dire di aver respirato il “genius loci”, lo spirito del luogo? “Quell’andar per boschi per succhiare il midollo della vita” per dirla con Henry David Thoreau. Carpire lo “spirito del luogo”, oggi, è più difficile di allora. Questo perché abbiamo perso molto della conoscenza mitologica e simbolica che ha nutrito le civiltà da dove proveniamo. Da parte nostra poi abbiamo perso del tutto o quasi la capacità di connetterci con ciò che vediamo e viviamo.
Ha ragione la dominante pubblicità nel propinarci la “perenne connessione col resto del mondo”.
Il problema è capire quale sia il tipo di mondo che s’intende promuovere o vendere, che non è certo quello evocato da poeti, pittori, musicisti, architetti o anime gentili e pure. Un conto è seguire la “tendenza mediatica” che cerca la connessione artificiale e artificiosa di cui sembra non possiamo più fare a meno. Un altro è cercare di ritrovare la connessione naturale con il tutto che ci circonda, che non è spiritismo, spiritualismo, animismo
Sconnessi. Scollegati dalla realtà in cui ci troviamo. È la stessa “disconnessione” di cui ha parlato papa Francesco dalla gmg di Panama, «l’incapacità di stare di fronte a una persona, e non trovare la giusta frequenza comunicativa».
Sempre e solo questione di frequenze!? Forse è così, solo che invece di accorciare la distanza con la “realtà”, facilitandone la comprensione, sembriamo tutti affannati in ogni forma e modo a dilatarne le distanze: noi da lei. E lei da noi. Così facendo il mondo ci appare e ci apparirà sempre più incomprensibile. Una distanza difficile da colmare, anche col cellulare di ultima generazione.