Nell'emergenza celebriamo la vita facendo il bene possibile oggi
Non si tratta di giustificare i limiti con cui facciamo i conti, ma di tornare alla misura umana del bene, quella gradita a Dio
In questo periodo ci sono molte cose semplici e belle che vorremmo fare e che non è possibile realizzare, come altre di impegnative e cariche di umanità e preghiera che ci starebbero a cuore ma non possiamo esprimere. Quante rinunce stiamo sperimentando in questo tempo di Covid-19, confini dati dal rispetto per il bene comune che ha valore anche per noi.
E così ci perdiamo l’occasione di una bella passeggiata all’aria aperta, un incontro con gli amici, la preghiera e il servizio in comunità, ma anche la possibilità di stare vicino alle persone care nel tempo della solitudine o della malattia, se non anche nel passaggio della morte, lasciandole prive della nostra tenerezza proprio quando potrebbero averne bisogno. La vita sta proprio chiedendo a tutti noi di confrontarci con il limite. Non è un confronto facile e immediato. La filosofia economica che stiamo portando avanti da decenni, come anche un certo narcisismo degli affetti e addirittura della vita pastorale, ci spingono a rifiutare questa situazione e a rimandare semplicemente a domani quanto vorremmo fare oggi, senza lasciare che la realtà ci cambi e ci apra a orizzonti nuovi.
Il confronto con il limite è questione di tutti i giorni e interpella il nostro perfezionismo, ma anche la nostra coscienza. Vorremmo tante cose, vorremmo essere liberi da impedimenti e da vissuti spiacevoli ma diventare uomini e donne chiede necessariamente di riconciliarsi con la realtà così com’è e di fiorire lì dove si è piantati, facendo di ogni esperienza un’occasione buona. A volte, poi, vorremmo fare del bene perché ci sembra sia il Signore che ci chiama a farlo, ma ci rendiamo conto che questo non è possibile per vari motivi (anche solo per il fatto di non poter uscire di casa): allora nasce un conflitto dentro di noi perché non possiamo fare ciò che, a nostro parere, ci verrebbe richiesto. Come posso non andare a trovare mia sorella che è stata operata ed è in ospedale? Come posso non andare in chiesa a confessarmi e celebrare l’Eucaristia? Come posso scegliere chi curare se ho pochi mezzi a disposizione? Come faccio ad andare a lavorare in un luogo dove è impossibile non venire a contatto con chi è malato e poi tornare tranquillamente in famiglia? Dio ci aiuti in questi momenti di autentico discernimento a stare in sua e nostra compagnia e ad accogliere il Vangelo che sempre è libertà per il cuore, fonte di riconciliazione e di scelte sapienti.
La fatica di abitare con la coscienza in pace questo tempo, forse, è accentuata da un imperativo interiore che ci accompagna: siamo stati educati con una particolare insistenza a non fare il male e a fare il bene nel migliore dei modi, ma forse non altrettanto a fare il bene possibile. Quel “possibile” non indica tanto una mediocrità, ma una misura umana che è gradita al Signore, ossia un amare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la forza e con tutta la mente (cfr. Lc 10,27) vissuto secondo le misure reali del nostro cuore, della nostra anima, della nostra forza e della nostra mente. Non è solo un linguaggio diverso, ma una prospettiva diversa, più volte indicata anche da papa Francesco, un invito ad accogliere la «misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile» (Evangelii gaudium 44). Facendo il “bene possibile” non ci assolviamo dall’amare di più, ma riconosciamo la nostra finitezza che fa dire tanti “no”, anche in questo tempo, ma lascia anche spazio a innumerevoli “sì” vissuti in serena coscienza, dinanzi al Signore, a noi stessi e agli altri.
«Come posso non celebrarti, vita?» canta Jovanotti. Possiamo cantare così anche, ma soprattutto cantare la vita con la vita, dentro quella misura possibile che ci è data, certi che il bene fatto e vissuto ha effetti anche oltre lo spazio in cui siamo o abitiamo.