Q come Quinto Stato. C’è un nuovo Stato. Ve ne siete accorti?
Per scivolare al Quinto basta perdere un lavoro a tempo indeterminato. Illustrazione di Gloria Bissacco
Tra le motivazioni più assurde che solitamente un politico porta per giustificare una sconfitta politica, una mi fa particolarmente riflettere-arrabbiare: «Abbiamo perso perché i cittadini non hanno capito il nostro programma». Ammesso che ci sia un programma e che sia stato presentato, il problema non sono i cittadini che non comprendono la proposta politica, ma il politico che non conosce i veri problemi che attanagliano la loro vita. Il mio sospetto, fondato, è che l’attuale classe politica – con tutte le eccezioni del caso – non si rende conto che la società cambia molto più velocemente delle ideologie su cui costruiscono i loro programmi.
Fino a non molti anni fa, l’ideologia politica si distingueva in destra e sinistra. La destra (conservatori, repubblicani, ecc.) aveva come riferimento le classi agiate, imprenditori, ed era liberista in ambito economico. La sinistra (progressisti, laboristi, ecc.) difendeva i diritti della piccola borghesia, operai, contadini. In economia, portava avanti dottrine di ridistribuzione e lottava contro le diseguaglianze. È sotto gli occhi di tutti come queste due classiche distinzioni siano scomparse o addirittura si siano invertite. I lavoratori delle classi più deboli votano i partiti di destra, anche estrema, e le classi economicamente e culturalmente più agiate – radical chic – hanno come riferimento i partiti di sinistra. Il mondo si è capovolto? No, è semplicemente cambiato.
Il Quarto stato è uno dei quadri più noti del Novecento, di Giuseppe Pellizza da Volpedo (1911). Il titolo è ripreso da un’espressione formulata durante la Rivoluzione francese, in cui si designavano gli strati popolari in quattro classi: nobiltà, clero, borghesia e classe operaia (proletari e contadini) rappresentati dal pittore. Il quadro rappresenta un’umanità assetata di giustizia, consapevole e compatta in cammino per la conquista dei propri diritti. Contadini, operai e braccianti chiedevano di essere ascoltati. Dopo più di un secolo, il Quarto stato ha raggiunto livelli di rappresentanza e diritti particolarmente significativi: previdenza sociale, istruzione gratuita, assistenza sanitaria universale. L’invenzione dello stato sociale è il risultato di questa orgogliosa avanzata del Quarto stato.
Dietro a questi, però, sta sorgendo un nuovo stato: il Quinto, che si trova nelle stesse condizioni di quelli all’inizio del 20° secolo, ma con delle significative differenze. Nel Quinto stato rientrano tutte quelle persone che oggi vivono di lavori a tempo determinato, saltuari, part-time, lavoretti (gig economy), precariato (il termine latino precarius viene da prex, precis, preghiera/supplica). Il moderno precariato è l’effetto combinato di tre elementi: rapporti lavorativi instabili, discontinui e a termine; sostegni pubblici inadeguati o assenti; un’insicurezza economica dovuta a una bassa retribuzione che non permette di programmare il futuro e di uscire dall’ansia di non farcela.
Rispetto al precedente, il Quinto stato è composto da una categoria ancora eterogenea, dispersa, molto connessa, ma attraverso i canali freddi di internet e dei social. Non forma ancora un gruppo compatto che ha una sua significativa forza d’urto, ma nel breve termine le cose potrebbero cambiare. Per scivolare dal Quarto al Quinto stato è sufficiente perdere un lavoro a tempo indeterminato.
I nostri politici si sono accorti che esiste questo nuovo Stato e che, anche se ancora disordinatamente, sta chiedendo gli stessi diritti del quarto?