La rivolta dei falasha: 130 arresti
Con l’uccisione di Solomon Tekah, 19 anni, riesplode la rabbia degli ebrei etiopi che si sentono “cittadini di serie B”
Domenica a Kiryat Haim, 27 mila abitanti alle porte di Haifa, un poliziotto passeggiava con la sua famiglia. Si sarebbe imbattuto in una rissa fra giovani. Di certo, ha estratto la pistola e sparato. A terra, senza vita, Solomon Tekah, 19 anni, falasha immigrato sei anni fa da Gondar.
Dopo il funerale a Tel Regev, riesplode la rabbia della comunità di ebrei etiopi. Proteste, manifestazioni, scontri al grido di “Black Lives Matter” come negli Stati Uniti. Finora, il bilancio dei “riot” divampati in molte città parla di 130 arresti e 111 feriti. Una specie di Intifada degli “ebrei di serie B” nei confronti dello Stato con la stella di Davide.
Sono 135 mila i falasha, che provengono dall’Amara del nord. Ebrei trasferiti nel 1984 e 1991 con operazioni bibliche (Mosè, Goisuè e Salomone) gestite dal Mossad. Enormi ponti aerei segreti per l’esodo dei perseguitati dal regime etiope. Una “aliyah” (migrazione) grazie al pronunciamento di alcuni rabbini che riconobbero il diritto alla terra promessa.
Ma l’inclusione dei falasha è stata problematica. Lamentano da sempre il razzismo nei loro confronti. E alla vigilia delle nuove elezioni anticipate sono diventati un “caso politico”.