L'universo è "cosa buona". Tra astronomia e fede
"Conoscere l’universo in quanto “cosa buona” ci permette di scoprire qualcosa in più di noi e di chi ci ha creati". La nuova rubrica di Manuela Riondato tra scienza e fede. "Appassionata di astronomia e di fantascienza, queste notizie riescono a entusiasmarmi e nello stesso tempo ad alimentare il mio interesse per l’altro ambito di ricerca che mi riguarda più da vicino, quello teologico".
«Scoperto il pianeta Vulcano di Star Trek», «Successo per la missione Hayabusa 2», «Scoperte 13 stelle che viaggiano verso la Via Lattea». Seguo da qualche anno una pagina di divulgazione scientifica che puntualmente spiega, in parole semplici ma con rigore scientifico, le ultime novità in molti ambiti di ricerca. Così ho imparato che il ribattezzato “pianeta Vulcano” è otto volte e mezzo la Terra e probabilmente un po’ troppo vicino alla sua stella per ospitare acqua in forma liquida, elemento indispensabile per la vita. Magari somiglia davvero al pianeta natale di Spock, che il creatore di Star Trek ha immaginato infuocato e orbitante proprio attorno a 40 Eridani A.
È stato affascinante seguire la missione Hayabusa 2, che porterà sulla terra dei campioni dell’asteroide Ryugu, dopo aver fatto saltellare sulla sua superficie dei piccoli rover e aver raccolto dati da un lander. Recente infine è la scoperta di tredici stelle che stanno viaggiando a velocità elevatissime verso la nostra galassia. Ebbene sì, la Via Lattea non è sola e interagisce con un gruppo di altre galassie, al punto da causare scambi di stelle che, nel tira e molla delle forze gravitazionali, sfuggono alla loro orbita e viaggiano come pallottole vaganti.
Appassionata di astronomia e di fantascienza, queste notizie riescono a entusiasmarmi e nello stesso tempo ad alimentare il mio interesse per l’altro ambito di ricerca che mi riguarda più da vicino, quello teologico.
«Cosa c’entra Dio con tutto questo?» ci si potrebbe chiedere. Parto da un intreccio di esperienze. La prima è il bisogno che sentiamo di puntare lo sguardo al di là di ciò che conosciamo. Non lo facciamo per soddisfare una curiosità fine a se stessa: scoviamo altri pianeti perché cerchiamo proprio ciò che rende il nostro tanto speciale, la presenza della vita. Inseguiamo indizi, sappiamo calcolare distanze e masse, individuare elementi, ipotizzare la presenza o meno di acqua liquida sulla superficie, culla della vita.
Siamo affamati di vita perché dice il nostro passato, da dove siamo venuti, come ci siamo evoluti e a quali condizioni, ma dice anche il nostro presente riportandoci alla preziosità della Terra e di come la stiamo trattando. Infine dice il nostro futuro, che sogniamo più grande di noi, pieno di spazio e di tempo, anche oltre a quello concesso al futuro del sistema solare. Così impariamo un po’ alla volta a conoscere questo universo in cui siamo immersi, vasto oltre ogni nostra capacità di immaginazione, complesso e in continua evoluzione, ricco di possibilità. Un universo che siamo chiamati a riconoscere come creazione, fatto proprio in questo modo e non in un altro.
La seconda esperienza infatti è quella della fede. Come cristiani crediamo in Dio Creatore di un cosmo che è considerato “cosa buona”. Lo era quando la terra era ancora informe e lo è anche adesso, nonostante possa farci paura con tutto il suo vuoto e i suoi pericoli. Lo è perché non è sterile ma capace di novità, quella stessa che ci ha permesso di essere qui come frutto del suo sviluppo. Conoscere l’universo in quanto “cosa buona” ci permette di scoprire qualcosa in più di noi e di chi ci ha creati: siamo portatori di vita e capaci di novità a immagine e somiglianza del nostro Creatore proprio perché «in lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28) insieme a tutto ciò che ci circonda. Queste poche considerazioni danno senso anche alla domanda da cui siamo partiti, e che vorremmo continuare a portare con noi.