La società è cambiata. E le nostre parrocchie?
Anche per la sopravvivenza spirituale serve una buona “efficienza energetica”. E in tempi di riduzione delle energie, non si può andare avanti con il criterio del “si è sempre fatto così” o con il lamento “guarda cosa ci tocca”, ma bisogna prospettare il futuro e non bloccarsi di fronte a considerazioni puntate all’indietro.
Un articolo letto in treno mi ha fatto scoprire la legge di Kleiber applicata alle situazioni sociali e, per riflesso ormai istintivo, proiettata sulle realtà ecclesiali e su nodi pastorali. Andiamo in ordine.
La legge di Kleiber, o di rallentamento del metabolismo, illustra come e perché il metabolismo di un essere vivente raggiunge l’efficienza energetica e spiega che per gli animali esso aumenta al crescere della taglia, ma non in proporzione dell’aumento della massa corporea. In altre parole, la quantità di risorse necessaria alla sopravvivenza aumenta ovviamente con la dimensione, ma in maniera meno che proporzionale: l’elefante usa energia in maniera più redditizia del topo.
Analogamente, una grande metropoli consuma meno energie pro capite che un paesino sperduto. Questo spiega lo sforzo, in realtà non sempre coronato da successo (vedi le “Quattroville” restate in tre), di favorire le esperienze di associazionismo intercomunale e addirittura i processi di fusione tra comuni, che presentano diversi vantaggi a partire da quelli finanziari.
Va così anche per l’organizzazione ecclesiale.
Una parrocchia di 4 o 7 mila abitanti (in città o comunque in un unico centro) “consuma” meno – sotto l’aspetto dei servizi religiosi – di 4 o 7 mila abitanti suddivisi in 3, 4 o 6 parrocchie, magari a distanza di alcuni chilometri l’una dall’altra. Pensiamo alle chiese, alle strutture edilizie e alle realtà attive (gruppi di catechesi, associazioni e realtà laicali, gruppi sportivi…), ai preti stessi.
Dove voglio arrivare con questo ragionamento? A far tutti convinti che, in tempi di riduzione delle energie, non si può andare avanti con il criterio del “si è sempre fatto così” o con il lamento “guarda cosa ci tocca”, ma bisogna prospettare il futuro e non bloccarsi di fronte a considerazioni puntate all’indietro. Gli orari delle messe festive vanno per forza rimodellati, le canoniche non più abitate non ha senso lasciarle vuote a degradare, le scuole d’infanzia con pochi bambini vanno chiuse, le società sportive si fonderanno se vogliono sopravvivere, i gruppi di catechesi e/o d’iniziazione cristiana non possono nascere e crescere tutti in ogni parrocchia…
Occorre cambiare mentalità, maturare sensibilità più aperte e disponibili, soprattutto in due direzioni: più corresponsabilità laicale e meno campanilismi. Il prete che arriva, magari di corsa dalla parrocchia vicina, a celebrare l’eucaristia domenicale non può pre/occuparsi che s’individuino i lettori, i canti, gli avvisi (e magari il riscaldamento da avviare…): è necessario che un gruppo di laici curi e garantisca questi aspetti, funzionali a una celebrazione decorosa e partecipata, viva e “comunitaria”. Nella progettazione di attività e programmi di unità pastorale o vicariato non può esserci il no pregiudiziale a uscire dai propri confini, emozioni e abitudini: da solo non ce la fa più nessuno, e certe iniziative e progetti si possono realizzare solo unendo le forze e magari arricchendo le proprie abilità con le altrui competenze.
Non so dove porterà l’attuale riflessione sulla comunità che impegna parrocchie e organismi della diocesi e non ho titoli per dare consigli. La mia opinione è che sarà comunque inevitabile una situazione a macchia di leopardo o, se si preferisce, “a geometria variabile”: una parrocchia avrà due gruppi di catechesi e quella vicina ne avrà altri due; una curerà più l’adorazione eucaristica e l’altra il gruppo giovanile; in una si faranno più pranzi e cene, nell’altra più tornei…
E senza calcare la variabile “preti celebranti”, che porta una parte di fedeli a migrare sistematicamente nella parrocchia di don X e un’altra parte a informarsi dove celebra, secondo i turni, don Y (per seguirlo o per evitarlo). Anche il volto variegato delle parrocchie potrà essere considerato sano metabolismo ecclesiale, ricerca di “efficienza energetica” finalizzata alla sopravvivenza spirituale.
Funzionerà? Solo a patto che ci sia – cresca, si sviluppi, si qualifichi – la vera comunione, il segreto per vivere la comunità e l’unità (pastorale).
Ma, sbaglio, o abbiamo parlato di comunione e comunità già lungo tutti gli anni Ottanta?