L’atteggiamento di partenza è la gratitudine. Poi c’è il resto
Chiuso il programma del centenario del Barbarigo, il rettore recupera qualche idea utile a quanti affronteranno celebrazioni anniversarie
A dicembre 2019, chiuso il programma del centenario del Barbarigo, recupero qualche idea che possa diventare utile a quanti affronteranno, prima o dopo, celebrazioni anniversarie che si vuole rendere significative e fruttuose. Magari si può anche cercarle o “pro-vocarle” – nel senso etimologico di “chiamarle avanti”, porle in essere – in vista di obiettivi ben delineati.
Punto di partenza, un atteggiamento essenziale: la gratitudine alla vita, alla storia di un’istituzione o una comunità. Se non sono contento della mia storia, non celebro nulla, non “porto al cuore” (= ricordare) niente e nessuno, al massimo rammento date e fatti. Sentirsi parte di una storia più grande, bella e “mia”, con il compito di passare il testimone ricevuto, dà un senso più pieno alle rievocazioni e alla scoperta di vicende e personaggi del passato. Non occorre aggiungere parole per intuire quanto facilmente questi atteggiamenti di gratitudine e di “staffetta” aprono al grazie della preghiera e dell’eucaristia.
Qualsiasi celebrazione ben fatta pretende un’adeguata preparazione, quindi obiettivi chiari e tempistica ben studiata: per il centenario del Barbarigo, iniziato a settembre 2018, il primo pensiero è di vari anni precedente e comunque il brain storming aperto a tutti è avvenuto nel gennaio 2017, il comitato operativo ha lavorato per più di un anno prima del primo evento e il libro è “partito” in autunno 2017. E ciò nonostante, alcuni aspetti del programma potevano essere curati meglio… Non va trascurato, anche a calendari fatti e appuntamenti fissati, che la vita (altrui) continua a cambiare in corsa: e quindi una certa flessibilità va messa in conto, e in atto.
È necessaria poi una squadra di lavoro, rappresentativa e operativa. Spesso, nelle diverse realtà, “non si può non invitare” colui o colei, perché rappresenta il gruppo X o la realtà Y o perché, se no, si offenderebbe… Forse si dovrà far così, evviva i rappresentanti, magari qualificati e “prestigiosi”, ma è certo che qualsiasi programma può essere portato avanti solo con chi è in grado, per attitudini personali e tempo disponibile, di dedicarvisi operativamente. E poi, un progetto straordinario dà certamente l’occasione di inserire “nel giro” persone nuove, forze giovani, energie finora poco valorizzate.
Segreto della riuscita di ogni evento è la comunicazione, coerente e mirata: proporzionata cioè agli obiettivi della celebrazione, ai target di riferimento, alle aspettative per il “dopo”. La mostra del nostro centenario è riuscita alla grande perché era stata ben pensata da architetti e grafici ma soprattutto perché un’opportuna “promozione” ha risvegliato il senso di appartenenza (l’orgoglio, vorrei dire) di tanti ex allievi che hanno passato parola, si sono chiamati a vicenda, hanno fatto chilometri per rivedersi... giovani. Con effetti concreti: nei giorni della mostra le richieste di colloqui per iscrizioni fioccavano!
Per la sostenibilità globale e finanziaria delle celebrazioni, ormai condizione ineludibile di ogni iniziativa, è questione sì di avere (o trovare) i soldi necessari, ma anche di stile negli approcci, di selezione degli sponsor, di possibili sinergie (anche semplicemente culturali), di relazioni nuove o riscoperte, di rapporti istituzionali perfezionati o iniziati… Per me la ricerca di sponsor – anche con i non ricevuti – ha costituito un capitolo interessante (e gratificante) della preparazione dei diversi eventi, perché mi ha dato modo di parlare con altre persone di qualcosa che mi stava a cuore, motivando meglio le scelte e definendo/rifinendo idee e concretizzazioni. E anche quando non andava a buon fine, restava sempre qualcosa di acquisito: anche sul versante delle cose da migliorare, di attenzioni da curare meglio. Per ottenere qualche sì è consigliabile puntare non all’elargizione nuda e cruda ma a rendere il possibile donatore partecipe del progetto.
Alla fine, inevitabilmente, ci si domanda: è valsa la pena? Cosa mi ha detto il Signore con questa esperienza? Guardando e riguardando indietro, si vede un cammino più ricco di quanto s’immaginava all’inizio, e anche la presenza del Signore (ri)scoperta in modi sorprendenti: un po’ come Mosè che vede Dio di spalle, dopo che è passato… E allora il grazie si fa ancora più grande, la gioia più profonda.