Via dall’Italia, ma per scelta. Per tantissimi ragazze e ragazzi veneti il futuro è all'estero
Nel 2023, il Veneto è la seconda Regione, dopo la Lombardia, per uscite nette di giovani che fanno le valigie per l’estero: parliamo di 3.759 in meno. Con i laureati se ne vanno anche gli investimenti pubblici e delle famiglie per portare a termine gli studi: il Veneto, in 12 anni, ha perso 12,5 miliardi di euro
Sono chiamati “cervelli in fuga” i giovani – centomila nel 2022-2023 – che lasciano il Belpaese per l’estero. Fanno le valigie per trovare più opportunità, uno stipendio più alto, una maggiore valorizzazione delle proprie capacità, un migliore equilibrio vita-lavoro o semplicemente perché l’Italia e il Veneto stanno “un po’ stretti”. Partono, ma non tornano e qui, precisamente dopo il “ma”, inizia il problema. Perché in fondo i cervelli in fuga sono giovani che cercano qualcosa. Qualcosa che l’Italia e il Veneto, forse, a oggi, non sanno offrire. L’unico modo per provare a cambiare le cose? Ascoltarli. «L’azienda per cui lavoravo mi aveva proposto un contratto a tempo indeterminato. Viaggiando, però, avevo capito che c’era tanto da vedere nel mondo, non aveva senso limitarmi all’Italia. Così ho prenotato un aereo, sono arrivato a Singapore e ho bussato alla porta di due giovani che una settimana prima mi avevano offerto un letto lì. Fortunatamente era ancora libero». A raccontarlo in una videochiamata su Zoom con un fuso orario di sei ore è Federico Convento, classe 1991, di Arzergrande, in quel di Singapore da ormai sei anni. È customer success executive (figura che gestisce le interazioni con i clienti, risolvendone i problemi) in Asia dopo un viaggio lavoro-vacanza che lo ha portato nel 2014 in Australia e poi in Nuova Zelanda, Giappone, Corea del Sud, Filippine, Thailandia, Indonesia e di nuovo a casa, in Italia, per poi ripartire nel 2018 alla volta di Singapore. Qui, dopo un periodo in un ostello dove ha lavorato in cambio di vitto e alloggio, ha trovato un’azienda che gli consente di ottenere un visto lavorativo e non solo: «Ero partito con l’idea di rimanere un anno al massimo e invece alla fine a Singapore ho trovato anche l’amore e pochi mesi fa mi sono sposato». In Italia, di cui non rimpiange le tasse («Qui vedo che servono realmente a migliorare l’ambiente in cui vivo») torna circa una volta l’anno per un mese, ma anche se tutto è cambiato, soprattutto in lui, non sente di aver perso niente: «La mia famiglia ha capito la mia scelta e non mi ha mai chiesto di tornare e gli amici veri sono rimasti… forse sono semplicemente fortunato». «Ho svolto un tirocinio come video-giornalista nelle istituzioni europee a Bruxelles durante l’università e nell’ottobre 2022 sono stata ricontattata. Non ho avuto dubbi sulla decisione da prendere, perché il lavoro che mi aspettava mi piaceva di più di quello che stavo facendo». Ad affermarlo è Irene Muraca, trevigiana, 27 anni, una laurea in lingue e letterature straniere e una in editoria e giornalismo in tasca. Per rimanere in Italia, il “piano B” di Irene era un’agenzia di digital marketing, ma tornare in una capitale europea e continuare a occuparsi di politica e giornalismo non poteva non essere considerata una grande opportunità: «Bruxelles mi era rimasta nel cuore, qui ci sono molte più possibilità per i giovani e si è valutati più per le proprie capacità che per il proprio curriculum» sostiene. Non esclude però un ritorno in patria: «Vorrei fare una bella esperienza, crescere dal punto di vista lavorativo e poi magari trovare qualcosa di altrettanto soddisfacente in Italia». Quell’Italia che ora è lontana: «Ovviamente c’è una famiglia che ha un’unica figlia che vive all’estero, ma prevale l’orgoglio per il percorso che ho intrapreso e la gioia nel vedermi soddisfatta…e poi anche Bruxelles ormai è casa». Gli occhi che brillano e un sorriso che sa di rinascita. «Finalmente posso fare progetti per il futuro» afferma Cristina Zanchin, 32 anni, che ha lasciato Piombino Dese per Amsterdam dove ricopre la posizione di back office commerciale per una multinazionale. Il suo, però, non è il primo biglietto: a 19 anni, dopo il diploma all’istituto turistico, ha infatti scelto di fare esperienza e migliorare la sua conoscenza delle lingue sul campo, vivendo prima in Spagna, poi in Inghilterra e infine nei Paesi Bassi, Stato del quale si è innamorata. «A un certo punto ho pensato di voler proseguire gli studi e che sarebbe stato più semplice farlo tornando a casa» racconta. In Italia tutto va veloce: laurea in mediazione linguistica e culturale, master in didattica delle lingue e i primi due lavori. «Ho sempre iniziato da un contratto di tirocinio pagato non più di cinquecento euro al mese – ricorda – Poi nel primo caso, nonostante le promesse iniziali, non c’è stato modo di proseguire, mentre nel secondo ho ottenuto un contratto di apprendistato, ma non avevo la possibilità di mettermi alla prova e crescere professionalmente». Tra fotocopie da fare e caffè da portare, la decisione di ripartire e tornare ad Amsterdam: «Nel 2022 ho fatto un colloquio e mi hanno chiesto di iniziare subito: dopo quindici giorni avevo dei clienti da gestire autonomamente, dopo quattro mesi mi hanno affidato uno dei clienti più importanti e dopo un anno avevo un contratto a tempo indeterminato». Da qui il suo bilancio: «Ho guadagnato in autostima, qualità di vita, esperienza e indipendenza fuggendo dalle dinamiche di gerarchia, poca flessibilità, scarsa fiducia e incapacità di valorizzare i giovani in cui spesso molte aziende italiane sono intrappolate». La nostra chiamata si chiude con queste sue parole: «In Italia non ho lasciato niente a parte la mia famiglia: torno per abbracciare i miei genitori, mia sorella, mia nonna e giocare con la mia nipotina, ma non vedo più il mio futuro lì».
Nel 2023 il Veneto è sul podio dopo la Lombardia per uscite nette di giovani (meno 3.759) che fanno le valigie per l’estero e quasi la metà (49,2 per cento) di quelli che hanno lasciato la nostra Regione nell’anno precedente, il 2022, aveva una laurea. A dirlo è la Fondazione Nord Est che ha recentemente pubblicato il report I giovani e la scelta di trasferirsi all’estero. Propensione e motivazione, basato su una doppia indagine che ha coinvolto da un lato 1.921 giovani tra i 18 e i 34 anni residente nel Nord Italia e, dall’altro, 856 risposte di coetanei espatriati sempre provenienti dal Nord Italia. I dati del report, che al momento della pubblicazione erano relativi agli anni 2011-2022, sono stati recentemente parzialmente aggiornati in una serie di note rilasciate dalla Fondazione. Con i laureati se ne vanno non solo i giovani, ma anche gli investimenti pubblici e delle famiglie compiuti fino al termine degli studi: meno 12,5 miliardi di euro dal Veneto tra il 2011 e il 2023, dove tra il 2011 e il 2022 l’aumento dei laureati emigrati ha registrato più 16 punti percentuali. «Non è una novità che le imprese del Veneto non abbiamo una grande propensione ad assumerli – afferma Luca Paolazzi, direttore scientifico della Fondazione Nord Est – Questo può dipendere da un dato strutturale, ovvero la dimensione relativamente contenuta delle imprese, e da un dato di natura storica: il Veneto è l’ultima tra le Regioni del nord a essersi industrializzata e le persone che hanno realizzato con successo questa industrializzazione avevano studiato poco per mancanza di mezzi. Proprio per questo faticano a riconoscere allo studio un valore».
In Veneto, però, esiste anche una questione specifica legata alla mancanza di adeguati collegamenti tra città. Aggiunge, infatti, Paolazzi: «Se fino a poco tempo fa questo aspetto era considerato un vanto perché rendeva ogni centro cittadino un gioiellino, ora una rete di servizi che faciliti il movimento è indispensabile». Tra i dati più interessanti, anche quelli relativi ai fattori più rilevanti per i giovani nella scelta di un lavoro: se vi è concordanza nell’attribuire a un’atmosfera di lavoro piacevole e a un “buon equilibrio fra vita lavorativa e vita privata” i primi due gradini del podio, la medaglia di bronzo è assegnata alla retribuzione. «Misurando l’importanza di un fattore tramite una scala da 1 a 5 – commenta Lorenzo Di Lenna, ricercatore junior per la Fondazione Nord Est che è tra gli autori del rapporto insieme a Elisabetta Lamon e Silvia Oliva – si può notare una differenza contenuta tra i valori attribuiti alla prima e all’ultima posizione. Questo significa che oggi per i giovani conta tutto, compresa la sensibilità verso aspetti un tempo più marginali, come appunto l’equilibrio tra vita e lavoro, ma anche la sicurezza e la sostenibilità». Insomma, nella caccia globale dei talenti per la Fondazione Nord Est «l’Italia è preda e perde ogni anno una fetta consistente di conoscenza e di competenze, a beneficio dei Paesi concorrenti che, a cominciare dal sistema imprenditoriale, meglio sanno valorizzare i giovani».
Marika Andreoli