Ucraina, gli effetti della guerra sui bambini con disturbi da esposizione fetale all’alcol
Prima della guerra un bambino su due negli orfanotrofi ucraini aveva la Fasd. La testimonianza dalla Polonia della presidente dell’organizzazione ucraina Children of Fas: “Stephany gridava sempre e mi chiedeva in continuazione si ci sarebbero stati ancora bombardamenti”. Aidefad: “Disponibili a dare supporto alle famiglie”
Olga Bolshova e sua figlia Stephanie sono arrivate a Varsavia da Kiev i primi di aprile, dopo un tragitto tutt’altro che lineare. Olga è la presidente di Children of Fas, un’organizzazione ucraina che raccoglie circa 500 famiglie di bambini colpiti da Sindrome feto-alcolica vera e propria (Fas) o da altri disordini rientranti in quella varia gamma di disturbi associati al consumo di alcol in gravidanza, che va sotto il nome di Fasd. “La nostra famiglia ha lasciato l’Ucraina per proteggere Stepha, la nostra figlia adottiva di sette anni – racconta Olga, con cui Redattore Sociale è venuto in contatto grazie ad Aidefad e Eufasd, le due principali organizzazioni operanti a livello italiano ed europeo a favore delle persone affette da disordini legati al consumo di alcol e droga in gravidanza –. Stepha presenta un alto livello di ansia, che è peggiorato con la guerra. Ha cominciato a dormire male, gridava e mi chiedeva continuamente se ci sarebbero stati ancora bombardamenti. Anche il linguaggio ha risentito della situazione di stress, ha cominciato a parlare come una bambina di tre anni, voleva stare con me tutto il tempo, non mi lasciava mai. Abbiamo provato a ridurre il suo livello di stress in tutti modi e ora le cose sembrano andare molto meglio”.
I disturbi da esposizione fetale all’alcol sono molto diffusi in Ucraina. Secondo Children of Fas riguarderebbe oltre il 5% dei bambini, anche se è la stessa organizzazione a chiarire che si tratta soltanto di stime perché, a causa dell’assenza di diagnosi, non esistono dati veri e propri. Inoltre, stando alle stime di Eufasd, la Fasd riguarderebbe la metà dei bambini ucraini che, prima della guerra, vivevano negli orfanotrofi: un numero esorbitante, dunque, se si considera che alcune delle grandi organizzazioni umanitarie parlano di 100.000 bambini in istituto. “Al momento non abbiamo intenzione di tornare in Ucraina – ha detto ancora Olga –. Abbiamo troppa paura che la Russia bombardi di nuovo Kiev e di non riuscire a proteggere le nostre figlie”. Ma in questi giorni i pensieri di Olga vanno anche a tutti i bambini che, al pari della sua Stepha, soffrono di Fasd. “Come fondatrice del gruppo, durante la guerra ho provato ad aiutare le famiglie dando loro informazioni: cosa fare, dove andare, come trovare un alloggio, come prendere appuntamenti con i medici e organizzare consulti online. Ho cercato di sostenere tutti, dando incoraggiamento e cercando di capire quali organizzazioni in Europa potessero aiutare le famiglie che hanno adottato bambini affetti da Fasd. Sto anche incontrando le organizzazioni polacche per vedere come lavorano, visto che hanno una lunga esperienza con i disturbi Fasd”.
“Non abbiamo molte informazioni sui bambini affetti da Fasd fuggiti dall’Ucraina - ha spiegato Bozena Zytke di Fundaja Archipelag, l’organizzazione polacca che si occupa di Fas e Fasd. Le organizzazioni che supportano i bambini che vivono in orfanotrofio o presso famiglie affidatarie in questo momento sono impegnate soprattutto nel cercare luoghi sicuri per loro”. Grazie al sostegno dell’organizzazione britannica Phoenix Relief del Regno Unito, Fundaja Archipelag ha fornito aiuto a 2.500 rifugiati ucraini che hanno raggiunto il territorio polacco in pullman dai distretti di Kharkov, Dniepro, Zaporozhe e Mariupol. “Nella mia città natale di Cracovia, alle persone viene fornito alloggio, vestititi e pasti caldi – ha detto ancora Zytke –. Alcuni di loro sono diretti da amici e parenti, altri sono sono confusi e non hanno idea di cosa fare, altri ancora vogliono fermarsi in Polonia o iniziare una vita sicura in Europa”. Fundaja Archipelag cerca di sostenere i profughi anche nei paesi di destinazione come Germania, Olanda, Norvegia, Spagna, Francia, cercando famiglie che li supportino, volontari di lingua ucraina e russa, aiuto per portare i bambini a scuola, iscriversi ai corsi di lingua e, naturalmente, trovare un lavoro. “Abbiamo già trovato una sistemazione a centinaia di persone – ha precisato –. In questo periodo abbiamo incontrato anche delle famiglie Fasd, come quella di Dina, 26 anni, e su figlio Roman di 3 mesi. In Ucraina, il bambino era seguito dai servizi sociali poiché sua madre non aveva una residenza stabile. Siamo riusciti a inserirla in una famiglia che la sta supportando, ma sicuramente il bambino avrà bisogno di una diagnosi”.
La preoccupazione per le persone con Fas e Fasd è pienamente condivisa da Aidefad, l’Associazione italiana disordini da esposizione fetale ad alcol e/o droghe. “Molti si trovano ad affrontare la guerra senza avere gli strumenti per comprendere minimamente la gravità di quello che stava accadendo – commenta il presidente Claudio Diaz –. Magari sono adulti che non hanno la possibilità né la capacità di pianificare una fuga. Chissà quanti sono i giovani soldati russi o ucraini che stanno combattendo questa guerra tra le fila di un esercito e dell’altro senza rendersi davvero conto di quanto sta succedendo, perché affetti da un disturbo neurologico dello sviluppo alcol correlato. Quindi, anche in assenza di gravi ritardi intellettivi o dei dismorfismi facciali tipici della Fas, presentano delle difficoltà cognitive non intercettate. Insomma, al dramma dei ragazzi finiti sotto i bombardamenti che hanno colpito gli istituti si aggiunge quello dei tanti che sono finiti a combattere”. D’altra parte, la situazione degli istituti era già drammatica prima della guerra. Dai racconti delle famiglie italiane che hanno adottato bambini – accanto a una situazione di mancanza di trasparenza, per cui i futuri genitori non venivano quasi mai messi al corrente delle reali condizioni di salute dei bambini – emerge un quadro di estrema rigidità, assenza di sensibilità pedagogica, carenza strutturale di personale. “Abbiamo già manifestato la nostra disponibilità all’Alleanza europea per la sindrome feto-alcolica – precisa Diaz –. Aidefad ha offerto un supporto a 360 gradi non solo ai ragazzi non accompagnati con o senza Fasd, ma anche a tutte le famiglie italiane adottive o affidatarie in attesa di abbinamento o in attesa di andare a prendere i loro bambini perché bloccate dalla guerra”.