Siria. Azione contro la fame: “Sei persone su dieci faticano a sfamarsi”
Rapporto dell’organizzazione a dieci anni dal conflitto. 13,4 milioni di persone (tre su quattro) necessitano di assistenza umanitaria (+20% rispetto al 2020); il prezzo dei generi alimentari di base è aumentato del 250% nell'ultimo anno
13,4 milioni di persone hanno bisogno di aiuti umanitari; il doppio rispetto al dato del 2011. 9,3 milioni vivono una condizione di insicurezza alimentare. Altri 2,2 milioni ne sono già a rischio. Il prezzo dei generi alimentari di base (riso, pane, grano, lenticchie, zucchero e olio) è aumentato del 250%. 6,1 milioni di persone sono sfollate e in cinque milioni di sono fuggiti dal Paese. Più del 90% dei rifugiati si trova nei Paesi vicini (Turchia, Libano, Giordania, Iraq). È la fotografia di dieci anni di conflitto in Siria nel resoconto della ong Azione contro la fame. Una crisi che ha generato fame e malnutrizione.
“Molte persone hanno ridotto il numero di pasti al giorno, hanno acquistato cibo a credito o hanno venduto il proprio bestiame e averi pur di sfamarsi. Si tratta di un fenomeno ormai consolidato nel Paese, soprattutto a Idlib e Aleppo, nel nord-ovest. Una circostanza che evidenzia gli stretti legami tra guerra e fame”, ha dichiarato, da Damasco, Nasr Muflahi, direttore nazionale di Azione contro la Fame in Siria. Con la moneta siriana che crolla e l’inflazione che aumenta, la popolazione, esausta dopo dieci anni di conflitto, sta sviluppando meccanismi di sopravvivenza estremi. “Sempre più bambini abbandonano la scuola pur di andare a lavorare; assistiamo, inoltre, a un pericoloso aumento dei matrimoni precoci”, ha aggiunto Muflahi.
Al momento, l’accesso al cibo è citato dalla popolazione come il bisogno numero uno, seguito dall'occupazione, dai mezzi di sussistenza e dalla necessità di un alloggio. La carenza di carburante nel Paese sta aggravando notevolmente la situazione umanitaria: “I costi di funzionamento delle macchine agricole stanno diventando inaccessibili per molti agricoltori e i lavoratori occasionali sono costretti a ridurre le ore di lavoro”.
Donne siriane decisive per il futuro del paese
“La fine alla crisi siriana sarà possibile solo con la piena e attiva inclusione e partecipazione delle donne colpite dalla fame e dal conflitto, la cui resilienza e determinazione continua a prosperare nonostante dieci anni di guerra e gli innumerevoli rischi che continuano ad affrontare. Hanno perso i loro cari e i loro mezzi di sussistenza e non si arrendono. Assumono il ruolo di capofamiglia, trovano il modo di lavorare, di disporre di un reddito e, allo stesso tempo, di prendersi cura delle proprie famiglie. La conclusione della crisi avverrà solo quando saranno messe al centro dei processi partecipativi”, ha affermato Eiman Zarrug, componente del team di Azione contro la Fame in Siria.
Nonostante ciò, l'anemia tra le donne e la malnutrizione delle future mamme è una delle questioni che preoccupano maggiormente Azione contro la Fame: “Più di mezzo milione di donne incinte non hanno accesso a servizi sanitari adeguati e l'anemia dovuta alla mancanza di micronutrienti avrà un grande impatto sullo stato di salute dei loro bambini alla nascita. Molte di queste conseguenze saranno irreversibili, limitando ai piccoli la loro capacità di apprendimento e la loro crescita fisica - spiega Chiara Saccardi, responsabile geografica di Azione contro la Fame per la Siria -. Oltre al matrimonio precoce, le donne hanno sofferto dell'aumento della violenza domestica e delle molestie sessuali che si moltiplicano in modo esponenziale nei contesti di conflitto”.
"È ora di promuovere soluzioni durature"
I bisogni del Paese, oggi, sono radicalmente diversi rispetto a quelli di dieci anni fa. Per Azione contro la Fame è giunto il momento di finanziare programmi a medio termine per ripristinare le reti idriche, le scuole e gli ospedali e, soprattutto, di concentrarsi su soluzioni per produrre cibo, senza abbandonare gli aiuti immediati in regime di emergenza. “La distribuzione di acqua con autocisterne o di razioni alimentari non può più rappresentare la soluzione. Non è sostenibile né dignitoso per le persone dopo dieci anni. È il momento di affrontare la rinascita di un Paese stremato dalla guerra, facilitando il rientro, in sicurezza, dei quasi cinque milioni di rifugiati nei Paesi vicini e degli oltre sei milioni di sfollati interni", ha concluso Simone Garroni, direttore generale di Azione contro la Fame.