Migranti, emergenza umanitaria nel Mediterraneo: “Morti in mare aumentate del 200%”
Nuovo naufragio, si temono 50 morti. Sami (Unhcr): “Dall’inizio dell’anno 500 vittime, nel 2020 erano 150. Sono numeri spaventosi”. Di Giacomo (Oim): “Il nostro appello per il ripristino del sistema di soccorso è caduto nel vuoto: la prassi è non intervenire e aspettare la Guardia costiera libica per riportare le persone indietro”
Nel Mediterraneo centrale non c’è un’emergenza arrivi, intesa in termini numerici, c’è, invece, un’emergenza umanitaria, fatta di sos dalle barche in distress che cadono nel vuoto, di mancanza di coordinamento nel soccorso, di naufragi che si ripetono. Secondo i dati dell’Unhcr in un anno le morti in mare sono aumentate di circa il 200%, si è passati da 150 morti a 500. A sottolinearlo a Redattore Sociale è Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr, in questi giorni in Sicilia per monitorare la situazione sulle coste italiane.
“Dall’inizio dell’anno i dati ci dicono che sono arrivate in Italia 10.400 persone via mare, in aumento rispetto allo scorso anno. Ma è il numero dei morti a essere spaventoso: contiamo 500 vittime contro le 150 del 2020.
E’ un aumento di quasi il 200 per cento, questo dovrebbe far suonare un campanello per una situazione che è grave”, afferma Sami.
In realtà nell'ultima settimana, nonostante gli appelli di Unhcr e Oim e di altre organizzazioni, lanciati all’indomani della tragedia del mare in cui sono morte 130 persone, poco è cambiato. E' di ieri la notizia di un nuovo naufragio in cui hanno perso la vita 50 persone. “Di fatto il coordinamento da parte degli stati di un sistema europeo di salvataggio, che chiediamo da tempo, non è stato attivato - spiega Sami -. E’ anche vero che registriamo negli ultimi giorni un aumento degli arrivi: in particolare quelli che vediamo a Lampedusa sono di persone recuperate in mare da Guardia costiera e Guardia di finanza. C’è quindi un lato dell’Italia attivo nel soccorso, il problema è ciò che accade in acque internazionali e i ritorni in Libia che, come ripetiamo, non è un paese sicuro. Insieme a Oim abbiamo reiterato l’appello perché le persone non siano riportate indietro, in Libia rientrano nei centri di detenzione. E in un meccanismo sempre uguale che poi le riporta dopo qualche mese su un barcone a tentare di attraversare il Mediterraneo”.
Secondo l’Unhcr la chiave è quella “di far ripartire le vie alternative e i percorsi umanitari, cominciando dalle evacuazioni e i reinsediamenti, non solo dalla Libia ma anche dal Sahel, dall’Etiopia e dall’Eritrea dove le situazioni sono instabili - continua Sami -. L’impegno della ministra Lamorgese c’è, siamo ottimisti. Dopodiché in Libia la situazione resta difficile. Ci auguriamo che la comunità internazionale supporti questa fase che apre un timido spiraglio nel paese e può aiutare anche noi a lavorare meglio sul terreno. Non c’è solo la questione dei centri detenzione, i cui numeri si sono un po’ ridotti, ma ci sono rischi alti anche fuori da questi centri - aggiunge -. E poi non abbiamo i numeri delle persone che sono tenute chissà dove dai trafficanti”.
Sul fronte italiano Unhcr registra anche un numero alto di minori non accompagnati arrivati via mare nelle ultime settimane. Questa mattina è sbarcata a Trapani la nave umanitaria di Sea Watch con 450 persone a bordo, quasi la metà (194) sono minori. Sempre stando ai numeri, continuano anche i ritorni verso la costa libica che dall’inizio dell’anno sono quasi a quota 7000, come conferma Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim). “In questi giorni continuiamo a riportare notizie di naufragi e rilanciare gli sos di Alarm phone, che sta facendo un lavoro importante. Ma manca un coordinamento del soccorso e una presenza di navi europee nel Mediterraneo - spiega -. Nell’ultimo naufragio si parla di almeno 50 morti, noi abbiamo la certezza solo di 11 persone. Quello che sappiamo è che erano in zona una nave mercantile e un’altra barca e che non sono intervenute, nonostante sia stato lanciato l’sos. E questo è molto grave: se c’è un natante in distress si deve intervenire, perché l’imbarcazione può annegare in qualsiasi momento. Ma ormai questa sembra essere una prassi consolidata: nessuno interviene in attesa che arrivi la Guardia costiera libica e riporti le persone indietro. Questo ci preoccupa molto”.
Secondo le stime dell’Oim ormai circa il 60 per cento delle persone che tentano la traversata in mare vengono rimandate indietro: “almeno una su due è matematicamente riportata in Libia - aggiunge Di Giacomo -. Dopo l’ultimo naufragio abbiamo lanciato un appello all’Ue perché si rafforzi il sistema di pattugliamento in mare e si evitino altre tragedie, ma è caduto nel vuoto. C’è un silenzio politico assordante su questo tema. Si parla solo genericamente di un aumento degli arrivi: ma attenzione a evitare narrazioni propagandistiche perché nonostante la crescita i numeri restano bassi. Non esiste un’emergenza in termini numerici ma solo un’emergenza umanitaria, di morti e dispersi in mare”.