Le forze armate tornano al potere in Myanmar: ecco cosa accade

Non è bastato il voto schiacciante a favore della Lega nazionale per la democrazia ad evitare la prigione ad Aung San Suu Kyi e altri leader del partito: sono stati arrestati ieri, prima che il nuovo Parlamento si potesse insediare

Le forze armate tornano al potere in Myanmar: ecco cosa accade

Non è bastato il voto schiacciante a favore della Lega nazionale per la democrazia (Lnd), che si è aggiudicata 396 seggi su 476 alle ultime elezioni, ad evitare la prigione ad Aung San Suu Kyi e altri leader del partito: sono stati arrestati ieri, prima che il nuovo Parlamento si potesse insediare. E così le forze armate sono tornate ancora una volta al potere in Myanmar, come annunciato su Myanwaddy TV, la rete dell’esercito da cui è stato proclamato anche uno stato d’emergenza che durerà un anno. Il potere è ora in mano al capo delle forze armate, il generale Min Aung Hlaing. Mentre un altro generale, Myint Swe, è passato dalla vicepresidenza alla presidenza ad interim.

L’escalation. Che si fosse vicini a un golpe era chiaro a molti. Dopo il voto, l’esercito aveva parlato di brogli e aveva detto che sarebbe “passato all’azione” se non si fosse posto rimedio. L’ambasciata Usa e la delegazione Ue nel Paese, inoltre, avevano chiesto ufficialmente di “aderire a standard democratici”. Richieste cadute nel vuoto.
La storia che ha portato a questo momento è ricca di contraddizioni. Stando alla narrazione occidentale, la transizione verso la democrazia sarebbe cominciata nel 2012, per rafforzarsi tre anni dopo, con la vittoria della San Suu Kyi e del suo Lnd. Ma i militari avevano preparato tutto con precisione. La Costituzione consegna loro ben un quarto del Parlamento, qualunque sia il voto dei cittadini, e il controllo di posti chiavi nella guida del Paese, a partire dal ministero degli Interni, della Difesa e degli Affari di confine. E non è tutto: la vecchia giunta fa parte del “Consiglio per la difesa e la sicurezza nazionale”, che può assumere il controllo totale in qualunque momento. Come è successo ieri, sfruttando articoli della Costituzione scritta proprio dai militari nel 2008.

Gli affari. Man mano che le sanzioni economiche venivano tolte, cominciarono ad arrivare nel Paese ingenti investimenti esteri, anche dall’Italia. E i generali si arricchirono. Spesso a spese dei diritti umani: lo scorso luglio, per esempio, uno smottamento in una miniera di giada uccise 170 persone, aprendo uno squarcio sullo sfruttamento nei giacimenti, già denunciato da varie associazioni. Global Witness stima che questo mercato, nel solo 2014, valesse 31 miliardi di dollari, pari alla metà del Pil del Paese. E ad arricchirsi sarebbero stati gli ex generali della giunta, a cominciare dal potentissimo Than Shwe, che nel 2013-2014 si sarebbe intascato oltre 220 milioni di dollari. E a gennaio l'organizzazione Justice for Myanmar ha denunciato il coinvolgimento dell’esercito nel settore della comunicazione, con risvolti anche in violazioni dei diritti umani.

L’articolo integrale di Fabio Polese (da Hua Hin, Thailandia), Colpo di Stato in Myanmar: ecco cosa sta succedendo nell’ex Birmania, può essere letto su Osservatorio Diritti.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)