“I prescelti”, la verità sullo sterminio dei bambini disabili
Dal 1940 al 1945 all’interno dell’ospedale di Spiegelgrund, nella Vienna nazista, trovarono la morte quasi 800 piccoli, le cui vite furono considerate indegne di essere vissute
ROMA - Dal 1940 al 1945 all’interno dell’ospedale di Spiegelgrund, nella Vienna nazista, trovarono la morte quasi 800 piccoli, le cui vite furono considerate indegne di essere vissute. Sotto le mentite spoglie di clinica specializzata per bambini con gravi disturbi psichiatrici o neurologici, a cui si aggiungeva un’ala destinata a riformatorio per ragazzi con problemi comportamentali o degenerazioni razziali, si praticava l’eutanasia.
L’ultimo a fare emergere questa vicenda terribile, e sconosciuta ai più, è stato il giornalista e scrittore svedese Steve Sem-Sandberg, che ha ripercorso la storia di quei cinque anni nel volume “I prescelti” (Marsilio, 2018): un’opera che, con straordinaria accuratezza e capacità di indagine psicologica, si colloca perfettamente a metà tra narrativa e resoconto storico, lasciando i lettori sgomenti per la crudeltà delle sperimentazioni praticate sui bambini e la spietatezza dei metodi correttivi.
Per entrare nelle pieghe di una storia di cui stentiamo a comprendere i risvolti esistenziali, l’autore, che già in passato aveva raccontato l’occupazione nazista del ghetto polacco di Lòdz nel romanzo “Gli spodestati” (Marsilio 2012), ricostruisce le biografie di due personaggi: il giovane Adrian Ziegler, riuscito a scampare per miracolo all’eutanasia, e l’infermiera Anna Katschenka che, per inerzia della coscienza, diventa uno degli ingranaggi fondamentali della macchina di morte messa a punto dai medici individuati da Berlino per praticare l’Acktion T4: il programma di eutanasia nazista che prevedeva la soppressione delle persone con disabilità cognitiva o affette da malattie genetiche inguaribili.
Ma vite indegne di essere vissute erano anche quelle di chi, come Adrian, oltre a provenire da una famiglia poverissima, aveva sangue zingaro nelle vene. Una volta finita la guerra, Adrian non riuscirà più a superare il trauma di quell’esperienza e la sua resterà per sempre una vita ai margini, inasprita dall’impossibilità di comunicare agli altri il suo vissuto e dal peregrinaggio da un carcere all’altro. E proprio durante un processo incapperà, alla metà degli anni Settanta, di nuovo nel medico di Spiegelgrund, Heinrich Gross, nel frattempo brillantemente riabilitatosi come psichiatra forense, che con la sua perizia psichiatrica lo farà condannare, per un piccolo reato, a sei anni di carcere più dieci di internamento in una colonia penale.
Da parte sua Anna Katschenka, l’infermiera coscienziosa che amava i bambini ma mise la propria professionalità a disposizione del programma di eutanasia, fu condannata a soli otto anni di carcere, di cui ne scontò appena quattro. Tuttavia, ciò che più colpisce nel volume, la cui stesura è stata preceduta da un poderoso lavoro di documentazione, è la capacità di trasportare i lettori nei meccanismi psicologici che alimentarono lo sterminio dei bambini. Che furono condannati a essere soppressi per un "processo naturale di disinfezione": prescelti per contribuire, con il sacrificio della vita, alla formazione di una razza più degna. La recensione di Antonella Patete, giornalista di Redattore sociale, è sulle pagine della rivista SuperAbile Inail.