Fisco, pensioni, sussidi: proposte serie o promesse vuote?
Mario Seminerio, del blog economico phastidio.net, commenta le proposte economiche dei diversi schieramenti in campo: «Troppe promesse a vuoto. Manca un vincolo di realtà».
La campagna elettorale che i leader stanno predisponendo ha nelle proposte economiche la parte predominante.
Tra redditi di cittadinanza, spending review, aliquote uniche, modifiche all’attuale assetto pensionistico, gran parte di ciò che i partiti propongono come immediatamente attuabile in realtà, alla prova di un ipotetico impegno di governo, si scontrerebbe con i “numeri reali” della finanza pubblica italiana.
Un conglomerato di debito, spese correnti e impegni con l’Europa che da Palazzo Chigi (governo), viale XX Settembre (Tesoro), via Nazionale (Banca d’Italia), riporterebbe immediatamente i leader alla dimensione della realtà e non più dell’affabulazione elettorale.
I reali spazi di manovra economica e finanziaria del post-4 marzo li anticipiamo con Mario Seminerio, economista e fondatore del blog economico “Phastidio.net”.
Il contesto macroeconomico del paese presenta le solite criticità strutturali: debito pubblico elevatissimo, rischio sovrano, squilibri di finanza pubblica. I politici in queste settimane fingono di dimenticarsene, ma i grandi macigni rimangono tutti al loro posto.
«Dovrebbero prima di tutto ricordarsi della sostenibilità nel lungo periodo delle proposte che stanno propinando agli italiani. Molte di queste mi sembrano abbastanza “oniriche” e alla prova dei fatti non avrebbero alcuna sostenibilità reale. Vengono sparati numeri e ricette come “proiettili d’argento” in grado di ridurre magicamente il deficit e il debito. Alcuni vanno sostenendo addirittura che l’aumento del deficit sia utile per aumentare la crescita e ridurre i rapporti di finanza pubblica che ruotano al deficit stesso. La storia dice esattamente l’opposto».
La stessa Commissione Europea non permetterà – con gli strumenti di “persuasione” di cui dispone – operazioni politiche ed economiche in grado di sforare i parametri comunitari. È un’altra questione che i leader tendono a non ricordare. Condivide?
«Vige una certa idea tra i politici: che l’elettorato sia assai contento quando i partiti si scagliano contro l’Europa, un’entità cattiva, una madre matrigna. Invece i vincoli europei ci salvano. In questa campagna manca proprio un “vincolo di realtà”, nessuno dice che ci aspetteranno mesi molto complicati. La Banca Centrale Europea si sta avviando a concludere il quantitative easing (ndr. strumento di politica monetaria espansiva) e non acquisterà più i nostri titoli sovrani “senza fine”. È una visione globale delle cose che va dal “tafazzismo” all’ignoranza».
Il nodo centrale riguarda l’impatto e la realizzabilità che le diverse “ricette” in discussione avrebbero in un quadro di finanza pubblica – quella italiana – che ha una fragilità strutturale. Per esempio la “flat tax” supportata dalla coalizione di centrodestra sembra raccogliere molti consensi. Fattibile oggi in Italia?
«La “flat tax” è una sorta di animale mitologico che ricorre nella politica italiana da 15 anni. Presuppone un problema serio di coperture: non c’è nessuna prova che l’abbassamento delle aliquote farebbe rientrare una parte consistente – e sufficiente – di sommerso per garantirne la realizzabilità. Nelle condizioni attuali farebbe sicuramente aumentare in modo pesante il deficit, forse di una grandezza non sostenibile per le finanze pubbliche, con conseguenti fibrillazioni sui mercati finanziari internazionali».
Un altro tema che meriterebbe una discussione a prova di “fact checking” è il reddito di cittadinanza. Nei termini proposti dal Movimento 5 Stelle, è una misura che possiamo permetterci?
«Malgrado i 5 Stelle dicano che ci siano le coperture, in realtà non ci sono. Riprendono e copiano i lavori di Carlo Cottarelli sulla spending review: 32 miliardi di revisione di spesa su cui poter lavorare per estrarre risorse utili. Da sottolineare inoltre che quei dati sono ormai vecchi. Pensano poi di poter sforare il limite del 3 per cento sul deficit e “giocare” sulle percentuali di inattivi, disoccupati, scoraggiati. In modo da reclamare a Bruxelles maggiori trasferimenti per sostenere l’occupazione. Pura utopia».
Chi si occupa in campagna elettorale di lavoro e disoccupazione giustamente riscuote molti consensi...
«C’è chi si illude di riformare i Centri per l’impiego, pensando di farli diventare una “macchina da guerra” efficiente come nel settore privato. Ma se gli inoccupati non hanno i profili professionali giusti, quelli necessari per diventare appetibili per le imprese, è tutto inutile. Bisognerebbe fare poi un grande ragionamento sui corsi professionali di riqualificazione. In questo quadro sono proposte da “libro dei sogni”, con coperture solo apparenti e non reali».
Sempre in tema di proposte economiche mirabolanti, sono ipotizzabili “messaggi” dai mercati internazionali nei giorni immediatamente precedenti e successivi alle elezioni?
«I mercati non si comportano come i “mafiosi” che mandano avvertimenti, sono gli operatori nei diversi luoghi del mondo che concorrono a formare i mercati. In questo momento lo spread tra Btp e Bund è tendente addirittura alla riduzione, ciò significa che i mercati scommettono su un governo di grande coalizione, o su un “governo del presidente”. Se invece l’esito sarà diverso, con una vittoria del centrodestra o del M5S, a quel punto valuteranno i singoli concreti provvedimenti. E vreificheremo se la campagna elettorale è stata l’ennesima sagra delle buffonate o se invece le proposte saranno mantenute concretamente».
E a quel punto?
«Ci sarà da ballare e ci allacceremo le cinture».