Elezioni in Cile: si va al ballottaggio. Vincono il disagio e diseguaglianza sociale a due anni dalla grande protesta
Il nuovo presidente del Cile sarà deciso al ballottaggio, il 19 dicembre. Ma il fatto che i due contendenti siano l’ex leader studentesco trentacinquenne Gabriel Boric, il candidato più a sinistra, sostenuto dal Frente amplio e dal Partito comunista, e il leader dell’estrema destra José Antonio Kast (Partito repubblicano cileno), confermano che la polarizzazione politica è ai suoi massimi livelli
Se la democrazia, in tutta l’America Latina ha la febbre, in Cile, ha, a quanto pare, il febbrone. Lo si era capito dai sondaggi, e il primo turno delle elezioni generali (presidenziali, ma anche legislative e locali) lo ha confermato. Una democrazia sull’ottovolante, conseguenza di un forte disagio e diseguaglianza sociale, a due anni dalla grande protesta. Il nuovo presidente del Cile sarà deciso al ballottaggio, il 19 dicembre. Ma il fatto che i due contendenti siano l’ex leader studentesco trentacinquenne Gabriel Boric, il candidato più a sinistra, sostenuto dal Frente amplio e dal Partito comunista, e il leader dell’estrema destra José Antonio Kast (Partito repubblicano cileno), confermano che la polarizzazione politica è ai suoi massimi livelli.
Situazione capovolta in pochi mesi. A scrutinio rapido quasi ultimato, Kast è attestato al 27,9%, contro il 25,7 di Boric. Il tutto di fronte a una bassa affluenza (45,4 per cento). Considerando che anche il terzo classificato, l’economista Franco Parisi (13%) si può considerare un outsider, emerge la forte sconfitta dei partiti che hanno governato il Paese negli ultimi decenni, dopo la dittatura di Pinochet. Il candidato del centrodestra liberale moderato, Sebastian Sichel, si è fermato al 12,5 per cento; la democristiana Yasna Provoste, alla guida di un cartello di centrosinistra con i socialisti, ha raccolto poco più dell’11 per cento dei consensi. Il confronto tra destra e sinistra estrema, in Cile, assume connotati tutti particolari, poiché dalla fine della dittatura di Pinochet si sono alternati al potere partiti “moderati”, che non hanno messo in discussione il modello economico liberali: o la Democrazia cristiana, o i socialisti di Michelle Bachelet, o i liberali di Sebastián Piñera, il presidente uscente, ma da due anni, cioè dalla repressione dei moti popolari, in pratica delegittimato (per un soffio nei giorni scorsi ha evitato l’impeachment). Inoltre, il possibile successo di Kast apre interrogativi pesanti, non solo per il suo programma ultra-liberista e la sua simpatia per Trump e Bolsonaro, ma anche per la sua giovanile contiguità al dittatore Augusto Pinochet. È la grande stranezza di queste elezioni: pochi mesi fa il voto per la nuova Assemblea Costituente aveva premiato le liste di sinistra e quelle indipendenti. In pratica, era emersa con forza la volontà di voltare definitivamente pagina rispetto alla stagione di Pinochet, cancellando l’ultima traccia di quel tempo, la Costituzione appunto. E di dare vita a una Carta più inclusiva, pronta a riconoscere i diritti dei popoli indigeni, attenta ad ampliare i diritti delle persone più vulnerabili e gli spazi di intervento statale.
Ci si aspettava una passeggiata per la sinistra. Invece, è salito improvvisamente il consenso all’ultradestra di Kast, contrario a suo tempo a scrivere una nuova Costituzione.
Un Paese “alterato” e impaurito. “Davvero un enorme paradosso – ammette al Sir padre Jorge Costadoat, direttore del Centro teologico Manuel Larraín, teologo e da anni coscienza inquieta, all’interno della Chiesa e del mondo culturale cileno -. Ma bisogna dire che, ormai da tre anni, non si sa quello che può succedere tra una settimana. La grande incertezza sociale porta a una grande volatilità dei consensi. Più che polarizzato, il Cile mi sembra un paese alterato. Kast è emerso nel giro di qualche settimana, e pensare che ha pure fallito l’ultimo dibattito televisivo”. Cosa ha provocato l’ascesa della destra? “La paura, c’è molto miedo, paura appunto, nella società. È causato dal forte e diffuso disordine sociale, dalla pandemia e dalle sue conseguenze economiche, dal timore del disastro economico, dalle violenze crescenti nelle regioni del sud dove è presente l’etnia mapuche, mentre nel nord è esplosiva la questione migratoria, con il continuo arrivo di venezuelani e haitiani”. Il gesuita, è invece certo che non esista una nostalgia di Pinochet: “È vero che nel Paese c’è ancora qualcuno che ritiene che il dittatore sia stato un male necessario, ma in generale credo che la giovanile vicinanza di Kast a Pinochet, unita a qualche espressione infelice, lo abbia invece danneggiato”. Qualche speranza in più, secondo padre Costadoat, se non altro perché porterebbe avanti la strada intrapresa con il lavoro della Costituente, arriverebbe dalla vittoria di Boric, ma con molte incognite e contraddizioni: “Si tratta di un profilo giovane, che viene dalla società civile, dal movimento studentesco. E questa è una cosa interessante. Pesa, però, il sostegno del Partito comunista. Boric dovrebbe riuscire a costruire una proposta programmatica di centrosinistra”.
La controrivoluzione del Cile profondo. Ulteriori elementi vengono portati dal professor Giovanni Agostinis, politologo e docente all’Istituto di Scienza politica della Pontificia Università Cattolica del Cile, con sede a Santiago: “C’è un aspetto continentale, che tende negli ultimi anni a premiare candidati outsider, che vengono da percorsi anomali, sia a destra, come a sinistra, soprattutto in seguito a eventi traumatici, come sono state le proteste del 2019, il cosiddetto estallido social. Ciò riguarda Kast ma anche, per certi aspetti, lo stesso Boric. Credo che il consenso al candidato di estrema destra abbia molto giocato la paura dell’ignoto da parte del Cile profondo. Non dobbiamo dimenticarci che il Cile, in questi decenni, si è strutturato istituzionalmente attorno a un modello statale in cui le privatizzazioni hanno giocato un ruolo fondamentale. C’è una componente significativa di società, composta non solo dall’élite, ma anche dalla classe media, che è stata spaventata dal salto nel buio”. Insomma, se il voto per la Costituente aveva rappresentato un “rivoluzione”, ben presto è arrivata la “controrivoluzione” e “Kast è stato votato da gente sicuramente non ‘pinochetista’, anche se bisogna dire che tutte le indagini hanno sempre fotografato un 10-11% di opinione pubblica che in tutti questi decenni ha mantenuto la sua nostalgia per la stagione della dittatura”. Kast, in definitiva è stato scelto come “argine rispetto ai rischi di una Costituente che potrebbe cambiare la cornice costituzionale”, oltre che per il suo richiamo a “legge”, “ordine” e “progresso”, contrapposti a un Boric accusato di essere “amico dei terroristi e dei delinquenti”. Si vedrà se nel ballottaggio questa narrativa farà strada o se viceversa – secondo Agostinis si tratta di una delle ipotesi, in un quadro di incertezza – “i cileni sceglieranno di non rischiare che un processo da loro stessi iniziato si interrompa. Molto dipenderà anche dalla partecipazione dei giovani”. In caso di vittoria di Kast, “molti sono i rischi per il processo costituente. Il testo approvato dall’Assemblea dovrà essere votato anche dal Parlamento e poi convalidato con un plebiscito”.