Detroit, dove resiste l’apartheid. E vale anche per i vaccini Covid
Nella testimonianza di padre Daniele Criscione, missionario italiano nella "Motor City" statunitense, emergono aspetti non sufficientemente conosciuti della società americana. Nuove forme di segregazione tra bianchi e resto della popolazione. “Se sei messicano non puoi comprare casa in certi quartieri…”. Le dosi contro il coronavirus arrivano prima a chi le può comprare
“Parlare di segregazione oggi negli Stati Uniti è molto, molto complicato”, spiega padre Daniele Criscione, missionario del Pime a Detroit, intervistato nel nuovo numero di Popoli e Missione. “Partiamo dagli oltre 500mila morti di Covid raggiunti negli States, e se guardiamo i piani di vaccinazione vediamo che prima ci sono i ricchi, quasi sempre bianchi, e poi tutti gli altri. Nessuna norma sancisce questo, ma la realtà sì: i ricchi hanno possibilità di pagarsi un certo tipo di sanità che qui è privata. E quindi pagarsi i vaccini. Se si vaccinano prima, vuol dire che i ricchi muoiono meno di tutti gli altri per il Covid. Funziona così”.
Una realtà segregante. La testimonianza di padre Criscione (nella foto), raccolta per la rivista mensile della Fondazione Missio, è emblematica della situazione di alcune aree degli Usa. Detroit, va ricordato, ha una popolazione composta a grande maggioranza da afro-discendenti. “Vuole un altro esempio? Se lei ha una casa in un quartiere abitato da bianchi, non può venderla a un messicano. Primo perché l’agente immobiliare non porterà mai un messicano a vedere una casa in un quartiere esclusivo di bianchi, perché la casa che vende si svaluterebbe immediatamente, come pure le case del vicinato. Ma sarebbe tecnicamente impossibile la vendita perché il quartiere funziona con una specie di cooperative di vicinato che controllano alcuni servizi, come l’illuminazione delle strade e così via. E queste cooperative hanno voce in capitolo nella vendita degli immobili del quartiere. In altre parole, se a loro non va bene il compratore, tu proprietario non puoi finalizzare la vendita. Non è una legge che dichiara la segregazione, ma la realtà negli Stati Uniti è segregante”.
Società fluida con poche radici. Eppure la legislazione statunitense sembrerebbe tra le più avanzate nel combattere la discriminazione. “In effetti è così: per l’assunzione di un lavoratore il datore di lavoro deve seguire un rigido protocollo di Act che tutelano il lavoratore da possibili discriminazioni legati alla razza, al sesso, alla religione, agli orientamenti sessuali”. Però
“se un afro vuole abitare in certi quartieri non può”.
Aggiunge: “non gli fanno comprare casa, anche se ha i soldi per farlo. La discriminazione in America c’è dappertutto. Direi che la radice è nell’umanità stessa, che essenzialmente fa fatica ad accogliere l’altro, il diverso da quello che rappresenta il mio mondo ideale. Il ‘fuori parametro’ genera discriminazione che nasce dalla paura. La paura ti fa mettere in difesa: ti chiudi nell’indifferenza e quando non ti trovi più prendi le tue cose e te ne vai. Quando il tuo quartiere muta e non ti riconosci più – i fenomeni di gentrification (progressiva trasformazione sociale e culturale di un’area urbana, ndr) sono molto studiati – ti sposti. Quella americana è una società molto fluida, senza troppe radici”.
Cristoforo Colombo e gli italiani. Il missionario italiano prosegue la riflessione a partire da alcuni noti e recenti episodi di cronaca: “le statue di Cristoforo Colombo che adesso tirano giù per altre motivazioni, erano state erette un secolo fa in memoria del linciaggio subito dagli italiani in quel luogo. Gli italiani erano trattati malissimo, erano il capro espiatorio per ogni cosa. Emarginati da tutto e da tutti”. Ma l’istruzione e la cultura possono cambiare questa situazione? “Il punto è dove studi. L’educazione è la chiave per venirne fuori, è l’unica via per spezzare l’ignoranza. Ma puoi avere due lauree e rimanere ignorante. La privatizzazione del sistema educativo negli States ha creato università a tua immagine e somiglianza: se sei ‘terrapiattista’ ti fai la tua università e lo rimani”.
Paolo Annecchini