Commissione e Parlamento Ue: collaborazione o braccio di ferro?

Si avvicinano le audizioni dei commissari designati a far parte del collegio retto da Ursula von der Leyen. Un passaggio delicato, dove nulla è scontato. Rimane - per tutti - un obiettivo fondamentale: far ripartire l'attività Ue perché le urgenze politiche e le sfide in atto non possono attendere

Commissione e Parlamento Ue: collaborazione o braccio di ferro?

In questi giorni si stanno definendo a Bruxelles le prossime tappe per la costituzione della Commissione europea, l’istituzione “esecutiva” dell’Ue, con ruoli fondamentali negli iter giuridici, nella definizione, gestione ed esecuzione del bilancio e delle politiche comunitarie, nella “custodia” dei Trattati. Si tratta dunque di un collegio, composto da 27 commissari, che svolge compiti fondamentali nel processo d’integrazione europea.
Un organismo – va sempre specificato – che non è chiamato a promuovere gli interessi dei Paesi membri (a cui pensano i rappresentanti dei governi riuniti nel Consiglio), e neppure a portare in sede Ue le diverse istanze dei cittadini e dei partiti politici europei (per questo c’è il Parlamento). La Commissione piuttosto – secondo la definizione dei Trattati – rappresenta gli interessi generali dell’Ue. Dunque l’interesse europeo nel suo insieme.

I commissari devono “spogliarsi” della loro appartenenza nazionale e partitica per occuparsi del servizio super partes cui sono chiamati.

Per entrare in carica la Commissione deve affrontare diversi passaggi: dopo la nomina della presidente Von der Leyen, avvenuta a giugno da parte del Consiglio europeo (capi di Stato e di governo), seguita dal voto di fiducia espresso dall’Europarlamento alla presidente nella sessione di luglio, i governi hanno indicato ad agosto i loro candidati a far parte del collegio. Quindi la presidente ha ripartito le deleghe, presentando il collegio all’emiciclo di Strasburgo a settembre. Ora si passa alle audizioni (dal 4 al 12 novembre), veri e propri esami in cui le commissioni parlamentari interrogano ogni commissario in pectore per verificarne il pieno sostegno e la fedeltà alla costruzione dell’Unione europea, nonché le personali competenze nel settore di spettanza (economia, sicurezza, commercio, Green Deal, agricoltura, ricerca, gioventù, Pnrr, bilancio, allargamento, fino all’emergenza abitativa o alla salute degli animali…). Al termine giungerà il voto di fiducia dell’Assemblea Ue.
Sono passaggi molto delicati. Durante le audizioni i futuri commissari devono rispondere a una ampia serie di domande scritte per poi sostenere, per ore, colloqui botta-e-risposta con gli eurodeputati.
Qui entrano in gioco – le passate audizioni insegnano – vari elementi. Giustamente i deputati prima di dare fiducia a un commissario lo mettono all’angolo. Le domande sono martellanti. Spesso diventano una specie di fuoco incrociato in base alla provenienza nazionale del candidato o della candidata, al partito di appartenenza, al passato politico personale.
Talvolta i colloqui filano liscio, a volte assumono l’aspetto di un’imboscata.Le audizioni misurano quindi non solo se il candidato o la candidata alla carica merita la fiducia del Parlamento, ma stabiliscono, seppur indirettamente, se gli eurodeputati svolgono il loro ruolo liberandosi da vecchie ruggini, antipatie, preconcetti.
Tra ottobre e novembre, a Bruxelles e Strasburgo, si gioca questa partita: nella speranza che la Commissione possa entrare in funzione almeno il 1° dicembre. Perché le urgenze politiche non mancano e i cittadini hanno il diritto di reclamare istituzioni funzionanti, rette da persone adeguate al ruolo; istituzioni cooperanti tra loro per il bene superiore dei popoli europei.

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Fonte: Sir