Alberto Trentini: ieri al Lido di Venezia preghiera per la liberazione. Fonte Sir dal carcere di Caracas, “tre ipotesi per il luogo di detenzione, situazione anomala per un cittadino straniero”

Sì è pregato anche ieri, durante le messe domenicali, così come era stato fatto nei giorni scorsi, al Lido di Venezia, per la liberazione del cooperante Alberto Trentini, 45 anni, da due mesi detenuto in Venezuela, e per sostenere la sua famiglia.

Alberto Trentini: ieri al Lido di Venezia preghiera per la liberazione. Fonte Sir dal carcere di Caracas, “tre ipotesi per il luogo di detenzione,...

Il parroco di Sant’Antonio, don Renato Mazzuia, ha espresso in vari modi la sua vicinanza ai genitori del cooperante, di cui dal 13 dicembre non si sa nulla: nessun capo d’imputazione, nessuna possibilità d’incontro con l’ambasciatore, nessuna notizia sul luogo di detenzione. Giulia Palazzo, amica di lunga data di Alberto, ha promosso, attraverso Change,org, una petizione che ha raggiunto decine di migliaia di firme. L’appello è chiaro: “Assicurare ad Alberto assistenza consolare, legale e medica”, ma, soprattutto, “permettere contatti regolari con i suoi familiari e avvocati – spiega al Sir –. Siamo pronti a fare pressione mediatica per Alberto”. Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani in America Latina, commenta al Sir: “Alberto Trentini, lavora per l’Ong francese Humanity e Inclusion, era in Venezuela dal 17 ottobre 2024, ed era conosciuto come un cooperatore esperto, faceva il suo lavoro senza occuparsi di faccende politiche. Secondo la Ong Foro Penal, oggi in Venezuela ci sarebbero 1.687 detenuti politici; di questi, 26 sarebbero stranieri e 31 sono cittadini venezuelani, ma anche con il passaporto di un’altra nazione”.
È in questo contesto che arriva, al Sir, la testimonianza di un venezuelano che chiede di mantenere segreta la sua identità, perché lavora all’Helicoide, l’enorme “piramide” che a Caracas ospita il maggiore carcere del Paese, tra cui i detenuti politici, ma anche la sede del Sebin il servizio di intelligence. Non porta notizie certe, ma la sua conoscenza del “sistema” lo porta a formulare alcune ipotesi, tre in particolare. “Io non so dove stia ora – spiega –, ma conosco come funziona il sistema qui in Venezuela, faccio delle ipotesi. Prima di tutto dico che i cittadini stranieri arrestati vengono rispettati, godono di una posizione di riguardo, di tutela, sicuramente migliore di un cittadino venezuelano, ma questa situazione appare molto anomala e strana, perché ai cittadini stranieri detenuti viene sempre permessa la visita dell’ambasciata del loro Stato di provenienza. Il cittadino italiano potrebbe essere detenuto dal Directorio general de Contro-insurgencia militar (il controspionaggio militare, ndr) che ha l’obiettivo di combattere lo spionaggio interno ed esterno. Ha sede a Petare, nell’hinterland di Caracas, nello Stato di Miranda”. Oppure, ed è questa la seconda ipotesi, “il cittadino italiano potrebbe essere detenuto nella sede dei servizi segreti, del Servicio bolivariano di inteligencia nacional (Sebin), nel sottoterra dell’Helicoide dove è molto difficile l’accesso dei familiari dei detenuti, le celle sono di massima sicurezza, non si vede la luce del sole”. Infine, “il cittadino italiano potrebbe essere sotto la custodia delle squadre speciali del Faes e se fosse, ipoteticamente, in mano al Faes, allora di potrebbe complicare tutto, perché si tratta, di fatto, di forze paramilitari, anche si ufficialmente sono forze speciali di polizia, create nel 2016”.
La fonte confidenziale conclude affermando che “per difendere la sovranità nazionale, qualsiasi persona con cittadinanza straniera, sia un turista, un imprenditore o un operatore umanitario, se diffonde sulle reti sociali, come Facebook o Whatsapp, messaggi contro il Governo, viene considerato ‘sospechoso’, degno di sospetto, dall’apparato statale di sicurezza, che inizia a investigare sul cittadino straniero”.

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Fonte: Sir