Cento anni in musica. Ruth Slenczynska, considerata l’ultima allieva vivente di Rachmaninov
Martedì scorso, 15 gennaio, Ruth Slenczynska, che vive negli Stati Uniti, ha compiuto 100 anni. In musica. Perché la musica è il filo conduttore della vita di questa pianista
“Buongiorno. Chiedo scusa per il disturbo e per il breve preavviso. Spero proprio che lei mi possa aiutare”. Era rimasto in piedi nell’atrio di casa. Il lungo cappotto ancora indosso, la mano sinistra che stringeva al petto il borsalino, mentre la destra era tesa in avanti pronta a salutare. “Il Maestro avrebbe dovuto tenere nei prossimi giorni un concerto, ma per problemi al gomito mi ha comunicato che non riesce a suonare e che di conseguenza non salirà sul palco. Ora, è già stato tutto organizzato e non vorrei perdere il compenso. Conosciamo tutti il talento di sua figlia. Non è che può sostituire il Maestro e suonare al posto suo?”.
Stati Uniti, anni Trenta. Il Maestro era Sergej Vasil’evič Rachmaninov (1837-1943). E la candidata a sostituire il grande pianista, compositore e direttore d’orchestra russo naturalizzato statunitense era una giovanissima Ruth Slenczynska. A chiedere a Jòzef Slenczynski, padre della bimba, le mani e il talento pianistico della figlia era il manager di Rachmaninov. Com’è facile immaginare, Slenczynski diede subito il suo consenso.
“Fu un bel successo – ha raccontato Ruth un paio di anni fa in un’intervista – e Rachmaninov mi volle incontrare. Ricordo che ero molto nervosa e che mio padre mi spinse nella stanza dove mi attendeva il compositore, che cercò di allentare la mia tensione mostrandomi una foto mentre era nella sua barca su un lago. Mi disse che gli piaceva correre come un pazzo sull’acqua, che gli piaceva come suonavo e di tornare che mi avrebbe dato lezioni”.
Martedì scorso, 15 gennaio, Ruth Slenczynska, che vive negli Stati Uniti, ha compiuto 100 anni. In musica. Perché la musica è il filo conduttore della vita di questa pianista, che oggi è considerata l’ultima allieva vivente di Rachmaninov. “A lui mi legano tante ore di lezione e lunghe chiacchierate sorseggiando insieme tante tazze di caffè. Conservo ancora un suo regalo, un magnifico braccialetto con un uovo di Fabergè in miniatura”.
A Ruth Slenczynska e ai suoi 100 anni l’account Ig @classicfm ha dedicato un post e un reel che in poche ore hanno raccolto oltre 50mila like.
Ruth nasce il 15 gennaio 1925 a Sacramento, in California, da genitori polacchi emigrati negli Stati Uniti. Il padre, violinista, era stato direttore del Conservatorio di Varsavia, prima di essere ferito durante la prima guerra mondiale.
La piccola Ruth dimostra fin dai primi anni di vita di avere uno spiccato talento musicale. Inizia a studiare pianoforte a 3 anni. A 4 tiene il suo primo concerto e un anno più tardi suona in televisione un’opera di Beethoven.
Suona su un pianoforte coi pedali più alti, adattati alla sua statura di bambina. Il suo debutto in un concerto europeo è a 6 anni, a Berlino. “Il direttore del teatro alla fine del recital voleva regalarmi una bella bambola, ma mio padre salì sul palco e disse: state lontani con quella bambola. Non me la fece nemmeno toccare”.
Suo primo e rigidissimo insegnante è il padre Jòzef. E il ricordo di quell’educazione ferrea e intransigente è rimasto impresso in Ruth. “Mio padre era un tiranno e mi ha spinto a diventare musicista ad ogni costo, mi vedeva come una macchina per far soldi – ricorda la pianista – mi inseguiva con la sua ‘bacchetta magica’ per picchiarmi se non l’avessi assecondato. Mi obbligava a suonare Chopin ogni giorno prima di fare colazione”. E così la “sveglia” in casa Slenczynski aveva la melodia dei 24 Ètude che Fryderyk Chopin scrisse tra il 1833 3 il 1840 per pianoforte solo, che costituivano il fondamento di quello che allora era una tecnica pianistica rivoluzionaria. E in poco tempo Ruth diviene un’interprete raffinata di Chopin.
A quindici anni, schiacciata dalla pressione paterna che voleva per lei una carriera come concertista solista, Ruth scappa di casa e prosegue il suo percorso di formazione musicale all’università di Berkeley. Nel 1944, non ancora ventenne sposa lo studente George Born, ma la loro unione fallisce nel 1953. Per mantenersi inizia a dare lezioni di piano e torna ad esibirsi in concerto nel 1951.
Oltre che con Rachmaninov, Ruth Slenczynska studia anche con altri insegnanti straordinari come Josef Hoffmann, Alfred Cortot, Egon Petri – che era allievo di Ferruccio Busoni – e con l’austriaco Artur Schnabel. Non solo. Tra i suoi amici e compagni di studi c’era anche Samuel. Samuel Barber. Siamo nel 1936. Barber ha da poco finito di comporre il secondo tempo del Quartetto per archi op. 11 e fa ascoltare quegli otto minuti di musica dal carattere elegiaco e meditativo, che richiamano il raccoglimento di una preghiera. Quel fraseggio intessuto di tristezza e languore, due anni più tardi, sarebbe stato riadattato e sarebbe diventato l’”Adagio for strings”, scelto da David Linch (1946-2025) per i titoli di testa e per la scena finale di “The Elefant Man” (1980) e da Oliver Stone per accompagnare una delle scene principali del film premio Oscar “Platoon” (1986).
Ruth Slenczynska ha suonato per diversi presidenti degli Stati Uniti. “All’epoca del concerto per Herbert Hoover (1874-1964) avevo 5 anni – ha ricordato recentemente in un’intervista –. C’è stato poi Truman, con cui ho suonato un pezzo a quattro mani all’insediamento di J.F. Kennedy”. Un momento, questo, che Ruth conserva ancora vivo nella memoria. “Fu elettrizzante. Dovevo suonare nella Sala della Costituzione a Washington. Mi squillò il telefono di casa, una voce misteriosa mi disse che di lì a poco sarebbe venuta a prendermi un’auto del governo, aggiungendo di non potermi dare altre informazioni e di non fare domande. Quando l’auto imboccò l’ingresso della Casa Bianca restai di sasso. Noi musicisti siamo abituati ad entrare dall’ingresso laterale degli artisti, non dalla porta principale”.
“Mi ritrovai tra marines in alta uniforme, camminavo da un salone all’altro e non sapevo dove guardare. Ad un certo punto si è aperta una porta e mi è venuto incontro il presidente degli Stati Uniti. Mi disse ‘dobbiamo allenarci, non abbiamo molto tempo’. Suonammo l’Adagio di una Sonata di Mozart. Non era affatto male come pianista”. Ruth ha suonato anche per Ronald Regan. “Sua moglie Nancy – racconta la pianista – si raccomandò di parlare a voce alta perché il marito aveva problemi di udito”. E ha suonato anche per Jimmy Carter (1924-2024). “Mia sorella lavorava per lui in Georgia e quando divenne presidente le disse che doveva invitarmi a suonare”.
Ha tenuto un recital di beneficenza per Michelle Obama e ha suonato anche con l’imperatrice Michiko, consorte dal 1989 al 2019 dell’imperatore giapponese Akihito. “In quell’occasione suonai lo studio n. 4 di Liszt e lei si avvicinò alla tastiera fino a sfiorarmi. Voleva vedere meglio le mie mani che andavano dappertutto”.
Nel 1989 suona al funerale di Vladimir Horowitz (1903-1989). “Era un amico. Quando ascoltò il mio disco sugli studi di Chopin mi invitò a casa sua per sapere come avevo interpretato alcuni passaggi”.
Durante il lockdown Slenczynska pubblica su YouTube dei video in cui esegue le sonate di Beethoven, per celebrare i 250.mo anniversario del compositore tedesco.
Tre anni fa, nel 2022, a 97 anni pubblica “My Life in Music”, un disco in cui ha raccolto brani di persone incontrate nel corso della sua lunga vita: Rachmaninov, Barber, Chopin, Grieg, Debussy e Bach. “Samuel Barber una volta mi disse: devi far sentire la bellezza della musica”. Oggi, su Spotify, il suo disco conta oltre 85mila streaming al mese.
Tre anni fa, lanciando il suo album, Ruth Slenczynska sottolineava che “la musica è fatta per portare gioia: se la mia porta ancora gioia alle persone, allora sta facendo quello che dovrebbe fare”.