Sinodo. La lettera? Che arrivi a toccare le persone e si lasci toccare
Nel percorso di approfondimento della lettera post-sinodale Ripartiamo da Cana, che stiamo portando avanti su queste pagine, abbiamo raccolto – grazie a una serie di voci – restituzioni interessanti per il cammino che è chiamata a compiere: «Deve incidere» sottolineava Francesco Ballan (vicepresidente del Consiglio pastorale diocesano dal 2018 al 2023); «Non si può prescindere da alcune fatiche» evidenziava Francesca Schiano (già vicepresidente del Cpd); «Ci siamo messi in strada, non fermiamoci ora!» invitava Luigi Gui, che ha fatto parte della Commissione preparatoria.
Anche Michele Visentin ne ha fatto parte, così come del gruppo di esperti: ora ascoltiamo la sua voce. Qual è stata la sua prima reazione, prendendo in mano la Lettera post-sinodale Ripartiamo da Cana? «Ogni volta che la riprendo in mano è l’icona biblica delle nozze di Cana a fermare la mia attenzione e a provocarmi. Come se la nuova alleanza che Gesù ci propone, l’invito ad accogliere il suo Amore che deborda dalle vecchie giare di pietra, fosse accolta ed esemplificata da tutto il processo sinodale. La lettera, del resto, lascia trasparire il desiderio di una nuova alleanza intra-comunitaria, inter-comunitaria e con la società nel suo complesso». Dal fronte del suo impegno professionale – nell’ambito educativo/formativo – come interpreta la Lettera? «In un tempo in cui i nostri territori e le nostre comunità sono spesso solcate da solitudini, le famiglie e i gruppi sembrano arcipelaghi che non si toccano, la Lettera ci ricorda che fare comunità è ancora possibile. Il modo in cui questa possibilità si potrà concretizzare è ora nelle mani delle comunità stesse». Come le sembra che si innesti nel contesto attuale? E come si innesta, per la sua esperienza, nel cammino della Chiesa di Padova? «Un’esperienza sinodale ci ha convocati per intrecciare relazioni e attivare energie per rinforzare l’idea che per le donne e gli uomini di oggi la storia di Gesù non solo può avere ancora senso, ma che l’esperienza di amore che ci ha dischiuso risulta decisiva. La Chiesa diocesana da tempo sta proponendo una nuova semantica riferita all’idea di parrocchia e all’idea di comunità. Da un lato mi sembra significativo l’uso del plurale quando si pensa alle parrocchie. Dall’altro è altresì evidente la ricerca di trovare una via d’uscita tra l’astrattezza di una fede che si identifica in una religione e l’inconsistenza di una spiritualità intimistica che non trasforma l’esistenza. E questa via d’uscita mi pare rintracciata nell’esperienza di Dio che Gesù ci svela con la sua vita stessa». Che germogli individua nella Lettera a cui prestare particolare cura? «Mi vengono in mente le parole del filosofo Roberto Mancini, che ho sentito risuonare (in altre forme) durante il percorso sinodale e nella Lettera: rendere credibile la speranza di tutti, rendere possibile sperare in Qualcuno, ascoltando la sua Parola, Parola inaudita. Credo sia questo il germoglio che dobbiamo coltivare». Il vescovo Claudio, nei mesi scorsi, ha consegnato la Lettera agli organismi di comunione in scadenza e agli operatori pastorali. Come pensa che andrebbe “trafficata”, con riferimento ai talenti di evangelica memoria, perché possa realmente portare frutto? «La relazione tra la lettera post-sinodale e la porzione di comunità che la legge e la approfondisce deve essere una relazione risonante. La caratteristica più importante di una relazione risonante riguarda il fatto che la porzione di mondo con la quale si entra in risonanza (grazie a degli assi di risonanza che in questo caso sono rappresentati dal contenuto della lettera post-sinodale) deve rappresentare per me una fonte di valore, deve essere ricca di significato. I ritagli di mondo che la lettera evoca e il clima nel quale viene proposta, non dovrebbero solo favorire una appropriazione ma anche una trasformazione. Una appropriazione trasformatrice. Ci si appropria lasciandosi trasformare dai contenuti proposti e trasformandoli. La questione cruciale diventa la seguente: a quali condizioni la lettera e i suoi contenuti possono diventare uno spazio risonante? Da un lato è necessario che il clima favorisca la disposizione alla risonanza, dall’altro è necessario che i contenuti/competenze siano tali da essere percepiti come assi di risonanza, cioè potenzialmente capaci di “toccare” la vita delle persone ed “essere toccati” da loro». Rispetto alle tre proposte individuate in assemblea sinodale – ministeri battesimali, piccoli gruppi della Parola e collaborazioni tra parrocchie vicine - che futuro immagina? «Immagino che grazie a queste proposte si riuscirà a incontrare, nelle feritoie della vita delle persone, ciò che esse si portano dentro, così che ogni incontro, ogni esperienza che noi possiamo fare, ogni ambiente di vita – lavorativo, nel tempo libero, nell’impegno – possono diventare occasione di incontro con Cristo. In particolare trovo ricca di prospettive l’idea dei piccoli gruppi della Parola, senza dimenticare che la Parola si lascia udire anche nella vita delle persone. Immaginare spazi di confronto, ascolto delle storie personali e percorsi tematici animati da un interesse comune credo possa essere un modo per favorire relazioni risonanti».
Con la Difesa dentro la lettera post-sinodale
Continua l’“accompagamento”, da parte della Difesa, del viaggio intrapreso dalla lettera post-sinodale Ripartiamo da Cana. L’obiettivo è offrire occasioni di approfondimento alle parrocchie, ma con un’attenzione particolare a quanti si impegneranno negli organismi di comunione in rinnovo.