Sinodo dei giovani, una ricerca sociologica. "È stato un percorso per tutta la Diocesi"
A due anni di distanza dalla conclusione del Sinodo dei giovani, sono stati presentati, in una videocall, i risultati della ricerca sulle relazioni dei gruppi sinodali realizzata da Marco Guglielmi, componente dell’assemblea sinodale e ricercatore in sociologia della religione prima all’Università di Padova e ora al Centro studi B. Kessler di Trento. Cosa emerge? Alcuni temi fondamentali: la figura dell'educatore, l'importanza e la difficoltà di testimoniare la propria fede, la richiesta di una Chiesa in uscita che sia in sintonia con la quotidianità e la vita concreta. Ma anche che il sinodo non è un'esperienza conclusa, continua la sua azione vivificatrice nelle comunità.
A due anni di distanza dalla conclusione del Sinodo dei giovani, i 150 componenti dell'assemblea sinodale e della commissione preparatoria si sono ritrovati in una videocall – insieme al vescovo Claudio, a don Leopoldo Voltan (vicario episcopale per la pastorale) e a Francesco Ballan (vice presidente del Consiglio pastorale diocesano) – per fare il punto in una doppia prospettiva: uno sguardo al lavoro fatto, i passi, le fatiche o gli inciampi, ma anche uno sguardo al futuro, il rilancio di iniziative e idee.
Ad aprire l’incontro la ricerca sulle relazioni dei gruppi sinodali realizzata da Marco Guglielmi, componente dell’assemblea sinodale e ricercatore in sociologia della religione prima all’Università di Padova e ora al Centro studi B. Kessler di Trento. «Un percorso di discernimento comunitario vissuto in prima persona dai giovani ma accompagnati dalla Diocesi tutta: questo è stato il Sinodo dei giovani – afferma Marco Guglielmi – Una constatazione importante e quasi sconcertante. Il vescovo ha voluto che il sinodo fosse un evento per tutta la Diocesi». Dalla ricerca emerge la richiesta di una Chiesa in uscita che guardi alla società per coinvolgere i giovani. Il sinodo diventa quindi uno stile dentro la vita della Chiesa, un’esperienza ciclica che può aiutare a gestire le scelte comunitarie, dando maggiore valorizzazione ai giovani e allo stile assembleare. Emerge una Chiesa che sappia coinvolgere la società, in particolare i giovani nei loro luoghi di aggregazione: università, centri sportivi...
«Centrale è sicuramente la figura dell’educatore, laico o sacerdote – sottolinea Guglielmi – che trasmette la fede e contemporaneamente fa nascere il desiderio di diventare educatore per trasmettere la fede. Questo tema si aggancia alla testimonianza: i giovani si scontrano con oggettive difficoltà, il mondo pare andare in tutt’altra direzione e testimoniare significa avere una fede forte. Ecco allora che apprezzano molto gli adulti che sanno dimostrare e raccontare di una fede che ha fatto la differenze nella loro vita. Gesù resta figura centrale, come Maestro, un rivoluzionario che affascina per gli insegnamenti che dà; il Vangelo è fonte di saggezza, anche se spesso manifestano uno scostamento fra l’omelia e la quotidianità. C’è desiderio di un messaggio più concreto, pratico, vero».
Il desiderio del vescovo per i giovani. Quanto maturato al sinodo va trasferito nelle comunità
«Era un piccolo desiderio – dice don Paolo Zaramella, direttore dell’Ufficio di pastorale dei giovani della Diocesi – che le relazioni del sinodo fossero prese in mano per un versante dalle scienze umane, e il traguardo è stato raggiunto, e per un altro con il metodo della teologia. E in questo secondo caso è in corso una ricerca da parte di un nostro prete, che sta concludendo il proprio percorso di licenza in teologia pastorale. Un’altra bella soddisfazione è venuta dalle parole del vescovo Claudio, che ai giovani dell’assemblea ha detto che il lavoro fatto durante il sinodo non è terminato e verrà pian piano trasferito nelle comunità, nei luoghi di aggregazione, nei centri parrocchiali».
Anzi, il vescovo ha proprio chiesto aiuto ai giovani per continuare a camminare insieme alle loro comunità e ri-vivificare così un'esperienza di Chiesa basata sull'incontro con il Signore Gesù e su relazioni di fede. «Dalle relazioni – chiarisce don Paolo – emerge l’affetto dei giovani nei confronti della propria parrocchia, ma alle volte è un’immagine sbilanciata su un’ottica di servizi erogati o luoghi di incontro. Questo ci ha fatto interrogare: bisogna rimettere al centro delle nostre vite le parrocchie, trovare esempi di fede vera e concreta, sentita, vissuta tutti i giorni».
Un’esperienza significativa, quella del Sinodo dei giovani, per i numeri consistenti che ha coinvolto (cinquemila giovani e 700 gruppi sinodali), ma anche per l’unicità del dibattito.
«Lasciare uno spazio creativo ai giovani – spiega Guglielmi – dare loro l’opportunità di portare avanti un lavoro assembleare per fare esperienza di discernimento comunitario è stato davvero innovativo. Alcuni temi trattati, come la figura dell’educatore sono scarsamente tematizzati nella letteratura sociologica sul rapporto giovani e fede in Italia».
I risultati della ricerca dimostrano che il materiale delle relazioni dei gruppi sinodali può “parlare” con il metodo quali-quantitativo della sociologia, approdando a risultati analoghi e diversi rispetto al metodo del discernimento comunitario che ha portato l'Assemblea sinodale alla stesura della lettera finale.