L'Ucraina che resiste. Il racconto di mons. Oleksandr Yazlovetskyi, vescovo ausiliare di Kiev
A quasi due anni dallo scoppio della guerra Nelle parole di mons. Oleksandr Yazlovetskyi tutto l'orgoglio di un popolo che non vuole soccombere. Anche se le risorse stanno finendo e i russi penetrano nella psiche
Ma vale la pena di perdere? Quella che si fa il vescovo ausiliare della Chiesa cattolica nella diocesi della capitale Kiev, mons. Oleksandr Yazlovetskyi, è la domanda contraria rispetto a quella che si sente più spesso e che risuona così: ma vale la pena di combattere questa guerra, che produce decine di migliaia di morti, distruzioni enormi di beni, dolore tra milioni di persone? Vale la pena di pagare un prezzo così alto? «Quando sento questa domanda, io rispondo: vale la pena perdere?». La ragione sta nella storia che gli ucraini hanno vissuto e sofferto: «Già in passato siamo stati invasi dai russi e conquistati da loro. Quello che hanno portato nel nostro Paese lo ricordiamo bene. Un esempio? Pochi giorni fa ho visitato una città nell’Ucraina centrale: lì, ai tempi in cui eravamo parte dell’Unione Sovietica, sono stati distrutti una chiesa e un convento. Per non dimenticare quel crimine l’attuale vescovo ha deciso di creare un museo con le memorie di quella stagione. E scavando sottoterra, nelle cantine, sono stati trovati tantissimi corpi perché lì, sotto il convento, c’era una prigione voluta dall’Urss. In quegli spazi sono state trovate quindici macchine piene di ossa: tutte persone uccise dai comunisti, perlopiù semplici credenti: uomini, donne, bambini... Un altro esempio? A Kiev e attorno alla capitale ci sono tante donne che sono state stuprate dai russi ai tempi del regime sovietico: ancora oggi se ne vergognano e non dicono quel che è successo». Una storia ancora recente e di cui gli ucraini sono testimoni. Perciò non vogliono ripeterla. Ed è la ragione per cui mons. Yazlovetskyi arriva subito alla conclusione: «Perciò mi domando: vale la pena di perdere di nuovo? Così che loro prendano il nostro Paese, chiudano i confini, inizi la propaganda russa nei nostri canali televisivi parlando continuamente del benessere che ci hanno portato? Così voi europei comincerete tutti a credere che finalmente siamo in pace, mentre i russi cominceranno un’altra volta a dare la caccia a quelli che difendevano il nostro Paese, a chiudere le chiese, a uccidere le persone... No, non ne vale la pena. Vale la pena piuttosto di lottare fino all’ultimo e morire come gli eroi, non come persone conquistate, imprigionate e perseguitate».
Quanto alla gente comune, la percezione è che le risorse stiano per finire: «Dopo due anni la popolazione si è impoverita tanto. Sono diventate povere soprattutto tante famiglie che hanno dovuto scappare dalle loro case, nelle città vicino al fronte. Nella nostra Diocesi abbiamo una cucina sociale che offre pasti agli sfollati. Ogni giorno si dà da mangiare a 500 persone; anche il direttore della Caritas italiana è venuto qua a vedere. E ha visto insegnanti, medici, gente fino a ieri anche benestante, che ha perso tutto ed è venuta qua. “Senza questo aiuto – dicono – non riusciremmo ad andare avanti”». Mons. Oleksandr Yazlovetskyi osserva la sua gente, la popolazione è stanca: «È venuta meno l’idea che tanti di noi avevano, cioè che la guerra non sarebbe durata tanto. In tanti avevamo fiducia nell’Unione Europea, negli Stati Uniti e in tutto il mondo occidentale, grazie ai cui aiuti avremmo potuto riconquistare il nostro territorio occupato in breve tempo. Invece, dopo due anni di guerra, si muore ancora e non ci sono progressi». Anche l’esercito ucraino avverte il peso non solo dell’inverno ma anche di ventitré mesi di combattimenti: «I nostri militari – spiega il vescovo – hanno la sensazione che l’Occidente ci stia aiutando giusto per non perdere la guerra, ma non per vincerla». Di converso – ma secondo quella modalità che storicamente contraddistingue il popolo russo – è proprio dalla parte di Putin che l’animo è più sollevato: «I russi – spiega mons. Yazlovetskyi – hanno imparato molte cose dopo la prima e per loro disastrosa parte della guerra. Intanto tengono sotto scacco dal punto di vista psicologico la popolazione ucraina. Ogni notte dai loro aeroporti fanno alzare in volo i loro aerei, che potenzialmente possono sganciare missili balistici; così da noi, in tutta l’Ucraina, si accendono le sirene, perché i missili possono colpire qualsiasi città in due minuti. Ma nessuno sa se i missili partiranno davvero oppure no. Così gli aerei russi volano e volano e perlopiù non succede niente e le sirene si spengono. E noi ci siamo abituati: la gente resta nelle case o nei luoghi di lavoro e non va nei rifugi. Poi, però, in alcuni casi sganciano missili o lanciano droni che hanno ammassato in grandi quantità: in questo modo le nostre difese non sono in grado di abbatterli tutti e avvengono le stragi».
Il Natale vissuto con la Chiesa ortodossa
«È con gioia che, per la prima volta, in Ucraina abbiamo festeggiato il Natale insieme alla Chiesa ortodossa, il 25 dicembre». Mons. Oleksandr Yazlovetskyi commenta così il cambio di data per cui tutte le Chiese cristiane nel 2023 hanno celebrato insieme il Natale: «I vescovi e arcivescovi cattolici e il metropolita ortodosso non avevano mai trovato un accordo. Ma quello che non sono riusciti a fare i vescovi in questi anni ha fatto la guerra: la guerra ci ha consolidato come popolo, ci ha riuniti in tanti aspetti»