Il Signore tra desiderio e compimento. L’adorazione vorrebbe illuminare l’attesa di incontrare lo Sposo per stare con lui per sempre
Nel “marshmellow test” un bambino deve resistere alla tentazione di mangiare un dolcetto sapendo che poi ne ottiene due. È la gratificazione differita per imparare a desiderare.
Anche le realtà liturgiche sono su due piatti della bilancia che si mantengono in equilibrio: contemplare e compiere. L’Eucaristia è tra queste due grandi parentesi. Quando siamo a messa stiamo compiendo un’azione, nell’adorazione eucaristica invece si contempla, si desidera: l’adorazione nasce dalla liturgia e rinvia alla liturgia, che non è solo funzionale ad avere i sacramenti, ma è il culmine e la fonte dell’incontro tra Dio e il suo popolo.
Siamo in una società che vive la crisi del desiderio. Afflitti dall’obesità, il desiderio di cibo viene soddisfatto immediatamente. Non siamo una società che prova la fame, anzi, siamo sommersi dal cibo spazzatura e dalla cucina gourmet. Nessuno di noi sente il bisogno del pane quotidiano.
L’adorazione si colloca in questo bisogno: guardiamo ma non mangiamo. Sembra l’incontro di due fidanzati che si promettono amore per sempre, ma non lo vivono ancora in modo vincolante. “Adorare” significa “baciare” e ogni messa inizia con un bacio all’altare ma il bacio è solo l’inizio. L’adorazione vorrebbe illuminare quell’attesa di incontrare lo sposo per stare con lui per sempre. Quel Gesù, nato proprio in una mangiatoia e contemplato dai pastori si consegnerà nel pane.
Quel pane viene celebrato ogni giorno, come la manna che poteva essere raccolta per un solo giorno. Quel pane si compone tra le attività dell’uomo che continuerà a sentire il desiderio di mangiarne ancora e quando adoriamo l’Eucaristia sembra stare in quel desiderio che ci farà gustare di più l’incontro con il Pane della vita.
don Sebastiano Bertin
vicario parrocchiale di Montegrotto Terme, Mezzavia e Turri