Ecuador. Don Daniele Favarin. Giunto a Esmeraldas più di trent’anni fa, ultimo dei fidei donum padovani, ancora oggi lavorare con i Comboniani
Essere Chiesa vuol dire stare vicini al popolo, in ascolto
Ora don Daniele Favarin, l’ultimo padovano arrivato a Esmeraldas, sarà anche il solo a rimanere, collaboratore della Cattedrale: un segno di continuità per una presenza che rimane viva nel cammino compiuto insieme dalle due Diocesi.
Lei è arrivato qui per la prima volta nel 1989; che cosa è cambiato in questi trent’anni?
«Certe cose sono cambiate, altre no. Esmeraldas continua a essere terra di sfruttamento e di emarginazione: una raffineria che porta poco sviluppo della città e contamina aria e acqua; un porto peschereccio e commerciale con molte possibilità, ma messo in secondo piano per privilegiare politicamente Guayaquil o Manta; uffici marittimi spostati nella sierra; abbandono da parte dello Stato della zona di frontiera, il che consente a gruppi sovversivi di promuovere estrazioni illegali, produzione e trasporto di droga, deforestazione, corruzione... In questo contesto la presenza della Chiesa è di denuncia e solidarietà quotidiana formando la coscienza critica, l’autostima, creando lavoro con microimprese. L’evangelizzazione non passa solo per i sacramenti: la gente ha già una grande fede, ha solo bisogno di essere orientata e fortificata alla luce del messaggio di Gesù e delle circostanze storiche».
Che segno ha lasciato la presenza padovana?
«È stata una presenza importante per l’interscambio e l’arricchimento reciproco. Da parte della popolazione il fatto di incontrare una Chiesa con una storia diversa e uno stile pastorale proprio. Da parte dei missionari si è compreso che non si può essere Chiesa se non si evangelizza partendo dai problemi, dalle sfide della realtà in cui si vive. Non si possono dividere Vangelo e storia della persona; la prima testimonianza nasce dal condividere e assumere le sfide sociali».
L’esperienza missionaria, soprattutto accanto ai Comboniani, è importante per capire cosa significa inculturazione per la Chiesa?
«L’inculturazione è un fatto fondamentale dell’essere Chiesa: essere vicini al popolo, senza moralismo, per non perdere l’umanità verso il prossimo (come Cristo ha vissuto e insegnato). Inculturazione vuol dire anzitutto ascolto, condivisione di gioie, speranze, difficoltà, dolori, sfide, cibo, modi di vedere e sentire la realtà; valorizzare, mettersi in gioco, essere voce di coloro che non hanno voce o vengono fatti tacere. È un servizio che continua anche oggi, contro razzismo, emarginazione, sfruttamento, impoverimento».
Conservazione e valorizzazione culturale
La presenza dei Comboniani a Esmeraldas, secondo la testimonianza di don Daniele Favarin, e la loro attenzione all’inculturazione è stata fondamentale non solo per la conservazione e la valorizzazione della cultura afroecuatoriana, specialmente orale, ma anche per la presa di posizione di fronte a molteplici realtà di emarginazione nei confronti della popolazione esmeraldegna.